In tutto il mondo si celebrano nel dicembre 2020 i 250 anni dalla nascita di Ludwig van Beethoven. “Alle Menschen werden Brüder” (“tutti gli uomini saranno fratelli”) è il verso forse più famose dell’Ode alla gioia di Schiller, il testo che Beethoven utilizzerà mettendolo in musica nel finale della sua Nona Sinfonia. Oggi quel brano è l’inno dell’Unione europea.
Come spiega Giovanni Bietti nel suo Lo spartito del mondo, <<Beethoven compone la Nona Sinfonia nella Vienna dei primi anni Venti dell’Ottocento, ossia in piena Restaurazione e in un contesto per certi versi addirittura oscurantista […]. La volontà beethoviana di gridare, in un momento di grave difficoltà politica e personale, che “tutti gli uomini saranno fratelli” assume quindi un valore straordinario, e lancia un messaggio universale>>.
Questo messaggio riverbera anche nelle fondamenta dell’Unione Europea, la “comunità” che l’Italia ha immaginato e contribuito a sognare a partire dalle ceneri della Seconda guerra mondiale. Complessa la riflessione sul “che cosa resta” di quel sogno, concreta la necessità di concentrarsi sul ruolo di ciascuno -singoli, organizzazioni- nel mettersi in rapporto con un’istituzione che, volenti o nolenti, condiziona vite private e professionali (magari migliorandole).
L’Unione è un controllore? Un costoso burocrate? Un bancomat o una lotteria? Oppure dobbiamo guardare all’Europa con la categoria dell’opportunità? Di crescita, di maturazione, di sviluppo, di studio, comprensione, adattamento e solidarietà?
L’Unione europea è la più grande democrazia del mondo dopo l’India. In un recente incontro, il presidente del Parlamento europeo Sassoli ha detto: <<Sarà una crisi ancora lunga e profonda, ma l’Europa sta reagendo in maniera forte e mi sembra che i suoi cittadini lo stiano cogliendo. Si percepisce una nuova fiducia nell’Europa, come se tutti stessero maturando la consapevolezza che senza Europa non se ne esce. Non dobbiamo perdere questa fiducia. La pandemia sta cambiando le cose e anche la definizione di democrazia contemporanea. Ma l’Europa non è un’istituzione di per sé, è fatta di Regioni, Comuni, città. Quello che sta accadendo in questi giorni, con l’avvio di questo grande sostegno economico a tutti e 27 paesi è uno dei passi più importanti del dopoguerra.>>
Non sappiamo se queste affermazioni siano vere fino in fondo, ma alcuni fatti emergono. Ad esempio, il 16 dicembre (il compleanno di Beethoven!), il Parlamento europeo ha approvato una legge con la quale si chiarisce ai Paesi dell’Unione che le risorse siano legate alla salvaguardia dello Stato di diritto.
<<Le leggi della fisica si applicano anche alle politiche europee>> ha commentato a proposito Charlemagne, firma storica -e anonima- de L’Economist: <<L’inerzia è la prima legge del moto di Isaac Newton. Ogni corpo persevera nel suo stato di riposo, o di movimento uniforme in una linea retta a meno che non sia costretto a cambiare quello stato da forze impresse su di esso, scrisse Newton nel 1687. È anche la prima legge dell’Ue : le cose restano così come sono, finché una forza abbastanza grande non le spinge a cambiare. La pandemia Covid-19 e la conseguente recessione hanno dato al blocco una spinta colossale. Durante l’estate i leader dell’Ue hanno deciso di emettere un debito collettivo su larga scala per la prima volta, per un importo di 750 miliardi di euro. Dopo cinque giorni di colloqui, tutti i 27 capi di governo hanno convenuto che chiunque spenda i soldi dell’Ue dovrà attenersi a una qualche forma di clausola dello “Stato di diritto.”>>
Un monito rivolto soprattutto a Ungheria e Polonia, che stanno imparando a proprie spese questa “legge” della fisica: una volta che le cose vanno, è difficile fermarle.
L’Unione ci sfida su democrazia, economia, comunità e diritti. Cogliere questa sfida sarà uno dei più importanti fattori che faranno distinguere le organizzazioni proiettate verso il futuro da quelle ancorate alla nostalgia di un passato che non tornerà.