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Armonia della Resistenza (e della Resa)


Si entra nel mondo delle R/resistenze e, per chi si aspetta immobilismo e grigiore, l’impressione è quella di eterogeneità di colori, di suoni, di movimenti, non sempre armonici, non sempre dissonanti.
Resistere al dolore, alla fatica ma anche alla gioia e alle buone notizie; resistere retrocedendo o avanzando; resistere per tenere la posizione; resistere con convinzione. Nelle organizzazioni e al di fuori di esse.

Se entro nelle viscere della resistenza vedo che non è sola ma, come ci dice Dietrich Bonhoeffer, si accompagna alla resa. Nelle organizzazioni spesso lo vedo: magari non inizialmente ma nel tempo, affiancando e osservando come si muove chi le abita; vedo come non c’è l’una senza l’altra, come sono connesse, come si compenetrano. Come in modo geniale e creativo sono un medesimo brano musicale in due tempi.
Sanno le organizzazioni che se vogliono vivere devono resistere alle minacce interne ed esterne ma sanno anche quando ha più senso vivere e dunque cedere il passo alla resa.

Le esperienze di workers buyout (così come le Fabricas argentine, messe in scena da Manuel Ferreira e da Elena Lolli) ne sono un esempio.
Seppur poco conosciute in Italia, ci raccontano la determinazione a resistere alla chiusura del luogo di lavoro e, quando la resa diventa inevitabile, a dar vita a qualcosa di nuovo, una nuova opportunità. In quelle specifiche esperienze, che finora in Italia sono 332 per un totale di oltre 10mila posti di lavoro (come racconta Paolo Riva in Nessuno si salva da solo: come vanno i workers buyout) i tempi di resistenza e resa, seppur temporalmente ben distinti, sono l’uno l’esito generativo dell’altra. L’energia propositiva che porta lavoratrici e lavoratori a non arrendersi alla volontà della governance di chiudere l’impresa, a fare resistenza alla perdita del posto di lavoro (che è anche dispersione di esperienze e competenze), a “tenere la posizione” (in questo caso letteralmente) è quella che permette, a un certo punto, di iniziare a prefigurare altre vie d’uscita, di immaginare che ci possa essere un altro modo di fare impresa, di stare insieme, di preservare lo stipendio. La resa in questi casi non è un arrendersi per sfinimento ma è agire il cambiamento.

I workers buyout sono l’esito vitale di un processo che parte da una resistenza (che può essere generata da motivazioni e bisogni differenti, personali e collettivi) e che passando da una resa voluta e programmata approda a un soggetto nuovo. Sempre nel processo si è perso qualcosa ma non accidentalmente: si è deciso, insieme, cosa lasciar andare non perché di poco valore ma perché non più strategico in un contesto che non è più quello in cui l’impresa è stata avviata.

Mi domando, scorrendo le resistenze che attraversano la mia e le altre organizzazioni che ho conosciuto, come la resistenza finisce: quando termina, cosa avviene? E non sempre finisce con una resa agita; a volte si conclude con una resa subita. E allora prevale lo scoramento; il senso di perdita non è un senso ma è una perdita effettiva e la stessa resistenza, riletta a posteriori, pare un’occasione mancata.

Guardo con attenzione e rispetto alle resistenze che avverto e a quelle palesemente già manifestatesi: in quella resistenza, in quel fermare respingendo, in quel non cedere a una forza, a una spinta, qual è il progetto sotteso? Qual è l’energia vitale che prima o poi scaturirà generando qualcosa di nuovo, qualcosa di bello? È questo che cerco per coglierne il senso.

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Foto Ivan Vranic @Unsplash

1 commento su “Armonia della Resistenza (e della Resa)”

  1. Abitare in un certo modo il “resistere”…posizionarsi nella complessità dei contrasti, proporre domande e aprire dialoghi fra…dare voce e forma alle ragioni e alle differenti spinte polarizzate fra resistenza e resa. La fiducia di potere agire nel comprendere può far nascere strade creative e letture nuove su antichi pregiudizi. Confrontarsi con sguardi esterni al nostro “resistere” e poi decidere la strada tenendo nella memoria le forme che abbiamo analizzato e non scelto.
    Mi auguro che nel presente assalito da riduzioni, semplificazioni, proiezioni pregiudiziali, si possa coltivare metodiche di dialogo nella complessità dei fenomeni e “resistere” a barbarie e sincretismi consolatori.

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