Maximiliano Ulivieri è attivista e divulgatore. Ricopre il ruolo di Diversity Manager per il Comune di Bologna. è responsabile del progetto lovegiver e autore di ‘LoveAbility: l’assistenza sessuale alle persone con disabilità’ (Erickson Editore).
Che cos’è il Desiderio?
Potrei fare un gioco di parole: il desiderio principale è realizzare i propri desideri. Il desiderio è certamente soggettivo, ma ci sono anche degli aspetti oggettivi. Alcuni desideri sono abbastanza comuni, soprattutto riguardo alle relazioni, all’affettività, all’amore, alla sessualità. Ma certamente anche essere indipendenti, avere la capacità di esprimere i propri pensieri. Quindi, anche se spesso dialogo con contesti in cui ci sono delle difficoltà maggiori rispetto alle persone comuni, ritrovo desideri abbastanza comuni.
Sicuramente siamo molto condizionati dal contesto in cui viviamo, quindi dalla società, dai media. Ci sono desideri che crediamo essere nostri desideri ma che in realtà sono stati indotti dal contesto culturale in cui viviamo. Persone con culture diverse, cresciute in paesi diversi avranno sicuramente delle diversità nei desideri. Anche quando pensiamo di non essere condizionati, probabilmente lo siamo lo stesso: facciamo finta che quello che desideriamo sia qualcosa che realmente desideriamo. Perché è difficile capire se si tratta di qualcosa che poi, ottenuto, ci darà una gioia oppure se continueremo a desiderare. Forse l’aspetto più emotivo e importante del desiderio è continuare a desiderare.
Quali sono i desideri a cui deve rispondere un Diversity manager?
Sinceramente, la maggior parte sono desideri che riguardano l’espressione di sé stessi, nel senso della libertà di esprimersi. Il che può voler dire molte cose, perché dipende dal contesto in cui vivi, dalla situazione in cui ti trovi e da cosa non ti permette di vivere questo contesto. Alcuni esempi corrispondono al desiderio di muoversi liberamente, di vivere la quotidianità e anche la città come la vive una persona comune. Quindi l’abbattimento delle barriere – argomento molto caldo e molto, molto sentito. Vivere le proprie passioni, che significa soprattutto avere un’indipendenza: avere la maggior autonomia possibile è la richiesta principale.
Con cosa ti scontri nell’ assecondare questo desiderio di autonomia e di libertà? Quali sono le barriere che ti trovi davanti?
Si tratta di cose che continuo a risolvere e che continuano a tornare. Ogni giorno ce n’è una nuova e a volte ancora mi stupisco di alcune situazioni. Ti faccio un esempio: ieri sono andato a presentare un libro – scritto da mia amica Violeta Benini e che tratta, tra l’altro, proprio di desiderio sessuale e di preliminari. Sono stato in una libreria di Bologna molto conosciuta. Arrivo lì e trovo uno scalino per salire sul palco, ma nessuno scivolo per permettere di accedervi a chi come me ha una carrozzina (la mia, tra l’altro, è elettrica e pesa 350 kg). Sono rimasto meravigliato. Mi sembra assurdo ma quello che trovo più spesso è proprio questa mancanza di abitudine mentale: in qualsiasi contesto pubblico automaticamente ci dovrebbe venire in mente che dovrebbe essere accessibile a chiunque; invece, questo automatismo mentale ancora non c’è. Anche nelle città che ho visitato nel resto d’Europa, non solo in Italia, ho trovato situazioni molto simili. Probabilmente tutto ciò è dovuto al fatto che non ci si aspetta che le persone con disabilità possano stare in tutti i contesti; forse ancora ce le si immagina in casa o in luoghi deputati, ma non inserite nella società. Manca l’abitudine. Io vengo spesso invitato come relatore in convegni, seminari, università e nonostante questi inviti, quasi sempre incontro delle barriere di accesso. E quando le persone si giustificano, dicendomi che gli edifici hanno più di 40 anni, io rispondo sempre: e noi 40 anni fa non esistevamo perché siamo caduti sulla terra come marziani? Non c’è l’abitudine di pensare alle persone con disabilità inserite nella nostra società. Poiché queste cose accadono sempre più frequentemente, perché persone che come me hanno delle disabilità si muovono, si spostano, fanno cose, arriveremo a cambiare qualcosa, ma ci vorrà tempo. Serve però un cambio di paradigma per cui il valore diventi l’autonomia e non l’essere trasportati da qualcuno o qualcosa da qualche parte. Attraverso il mio lavoro posso intervenire, battendo sempre più forte affinché in ogni progetto, in ogni apertura, in ogni qualcosa che sia in programmazione ci sia fin dall’inizio, proprio nella fase progettuale, il diversity team che controlli la situazione riguardo dell’accessibilità. Al Comune di Bologna siamo in 5 ad occuparcene, estendendo il tema anche alle discriminazioni e all’inclusione in generale. Ma è una situazione particolare, una prerogativa del nostro Comune che difficilmente si trova in altre città.
Credi sia possibile accompagnare il desiderio?
È possibile abbattere tutte quelle barriere che non permettono in maniera autonoma di accedere a un desiderio. Possono essere barriere fisiche, ma non solo. Ci sono persone che possono facilmente uscire e comunicare, ma magari non riescono a frequentare luoghi di incontro. Vi sono barriere culturali perché non si hanno corpi conformi che non permettono di esprimersi come si vorrebbe. Così con LoveGiver cerchiamo di abbattere queste barriere attraverso un percorso di incontri con i nostri operatori e operatrici che si sono appositamente formati. Non sempre è facile, occupandoci anche della disabilità intellettiva, però ci proviamo. La vita è brevissima per molti, a volte anche per le persone comuni che spariscono da un momento all’altro senza accorgersene. Ma per le persone con malattie gravi conosciamo anche la scadenza. Così cerchiamo almeno di vivere quella poca esistenza che ci spetta in maniera il più piacevole possibile.
Per fortuna se ne parla sempre più spesso; dal 2013 in avanti, da quando ho iniziato a portare questi temi sotto gli occhi delle persone. C’è stata un’espansione molto ampia di convegni, eventi, progetti che riguardano la sessualità, anche in televisione. Ma ancora manca quella abitudine mentale di cui parlavo prima, che passa attraverso una normalizzazione e un vero e proprio cambiamento culturale. I media possono fare molto in proposito, nell’immagine quotidiana, nella pubblicità, nelle riviste. Se dico che una persona disabile può fare sport non si fa fatica ad immaginarlo, perché le paralimpiadi hanno sdoganato questo argomento. Ma se dico che faccio sesso la fatica è ancora molta. E allora faccio sempre una battuta: facciamo le paralimpiadi del sesso? Se qualcuno avrà la voglia e il coraggio di farlo, allora sarà più facile generare il cambiamento.
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Foto Marcel Strauss @Unsplash