Il 2014 è un anno importante dal punto di vista europeo: con esso ha preso avvio il primo anno della nuova programmazione europea, quella della strategia Europa 2020; nel maggio 2014 abbiamo votato il nuovo Parlamento europeo e il suo Presidente; in novembre è stato firmato l’accordo di partenariato tra governo italiano e Commissione Europea, documento che definisce le priorità e gli obiettivi tematici per l’utilizzo dei fondi strutturali (il Fondo Sociale Europeo e il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale); e al 31 dicembre si conclude il semestre italiano alla Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea.
Mi piace cogliere l’occasione, dopo un anno di osservazione del lavoro della Commissione, per portare una riflessione sulla strategia Europa 2020 che non è soltanto un enorme contenitore di finanziamenti, ma è prima di tutto un documento politico chiaro e puntuale che definisce la visione della Commissione Europea e dei suoi membri nello scenario europeo attuale e nell’orizzonte del 2020.
Alla base del documento programmatico c’è un’analisi approfondita e partecipata da tutti gli stati membri di quelle che vengono definite le debolezze strutturali dell’Unione Europea: il basso tasso di investimento e di crescita, l’alto livello della disoccupazione (in particolare di quella giovanile), il progressivo invecchiamento della popolazione.
Da qui – dalla consapevolezza dei limiti – nascono gli obiettivi: crescita intelligente, cioè basata sulla conoscenza e sull’innovazione; crescita sostenibile, grazie a un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva;crescita inclusiva che promuova un’economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione economica, sociale e territoriale.
A fronte di questi obiettivi la Commissione chiede agli Stati membri di declinarli ognuno sul proprio territorio così che i livelli nazionale e europeo si incrocino rafforzandosi a vicenda e permettendo di raggiungere il traguardo.
L’analisi dei problemi non fa sconti sui limiti dell’Unione ma nello stesso tempo rilancia fortemente una consapevolezza: le economie dei 28 paesi sono strettamente interdipendenti ed è quindi il coordinamento giocato dall’Unione Europea che può permettere il raggiungimento degli obiettivi. Da ciò l’accelerazione sulla necessità di creare delle alleanze tra i diversi Stati perché le risposte alle sfide individuate siano trasversali ai diversi paesi e perché si possa insieme individuare soluzioni e creare innovazione.
Penso ai programmi, e quindi ai bandi della Commissione, come a un appello inviato a tutti gli stati membri e ai singoli enti per contribuire alla realizzazione degli obiettivi che la Commissione ha delineato.
I dispositivi di finanziamento rappresentano dunque una scelta che è squisitamente politica, e quello che noi siamo invitati a fare nelle nostre organizzazioni partecipando a un bando e proponendo a nostra volta dei progetti ècontribuire alla soluzione dei problemi identificati e alla costruzione dello scenario futuro immaginato.
Spesso l’Unione Europea è vista, nelle nostre organizzazioni, come un orizzonte troppo lontano, come un livello troppo alto cui vorremmo aspirare perché ha tante risorse a disposizione ma al quale non riusciamo ad avere accesso. E i dati dell’utilizzo dei fondi europei da parte dell’Italia confermano la fatica del nostro paese, delle nostre organizzazioni ad approfittare dei finanziamenti, soprattutto in alcune regioni del sud; il nostro paese contribuisce al budget della Commissione Europea molto più di quanto non riesca poi a beneficiare dalla redistribuzione dello stesso nei diversi paesi attraverso i programmi di finanziamento: gli ultimi dati vedono a questo proposito un saldo negativo pari a poco più di 30 miliardi di euro e l’Italia al ventiduesimo posto – sui ventotto Stati Membri – per capacità di assorbimento dei fondi strutturali.
In alcuni casi i limiti sono oggettivi e li sentiamo spesso ripetere: la burocrazia italiana che imbriglia, la poca conoscenza della lingua inglese, la scarsa conoscenza dei programmi europei.
A ciascun consorzio o impresa spetta di valutare se considerare la progettazione con enti di altri Stati membri un orizzonte importante perché le sfide dell’Italia sono le sfide dell’Unione, e le opportunità, devono essere comunitarie, oppure considerarla un limite insuperabile; se considerare la strategia 2020 come un vincolo e l’Unione Europea come un attore scomodo che vuole limitare la nostra libertà di azione, oppure se riconoscerla per quello che vuole essere: una progettualità ambiziosa di costruzione dell’Unione Europea alla quale l’Italia può contribuire.