In una recente conversazione tra consulenti attivi nell’ambito della progettazione e del finanziamento di progetti, si è posto il tema della trasmissione del proprio valore e delle proprie peculiarità verso l’esterno.
Il tema non è stato formulato unicamente in un’ottica di acquisizione di nuovi clienti, ma poneva l’accento sulla comunicazione della qualità del proprio lavoro e sulla dedizione che lo caratterizza, in un mercato sempre più variegato e ricco di offerte.
Competenze e abilità tecniche, risultati concreti e dimostrabili, uniti a un ampio ventaglio di soft skills – altrettanto importanti nel rapporto tra consulenti e clienti, anche se meno misurabili – fanno parte del bagaglio di professionalità di ogni consulente. Le regole del mercato impongono però di distinguersi sempre, anche in un contesto all’interno del quale si opera per affiancare organizzazioni – profit, non profit o pubbliche – attive nel miglioramento della società e per il bene comune.
L’aspetto però più interessante di questo confronto tra consulenti risiede non tanto nelle possibili risposte su come migliorare le proprie performance, quanto nelle domande.
Le domande che il consulente si pone – come comunicare al meglio il proprio valore e la propria professionalità per ottenere risultati migliori – in fondo rispecchiano quasi perfettamente le domande di chi una consulenza la richiede: come posso comunicare meglio la mia mission ed elaborare meglio i miei progetti per ottenere più donazioni e finanziamenti e rendere più sostenibili le mie attività?
Si specchiano le domande, tra consulente e cliente; spesso si specchiano anche gli intenti e la condivisione di percorsi che hanno come fine comune il dare risposte concrete e durature a bisogni umani e sociali sempre più pressanti e che riguardano il presente e il futuro di tutte e di tutti.
A volte, in questo costante e articolato lavoro di riflessione, l’immagine che torna può mettere in evidenza soprattutto le proprie difficoltà e fragilità, non solo professionali.
La professionalità dovrebbe risiedere anche in questo, nel non distogliere lo sguardo, nell’accogliere un riscontro negativo come una vera occasione per conoscersi meglio e comprendere maggiormente chi si affianca, rendendo più costruttivo ed efficace il percorso di affiancamento.
Può essere questa una chiave comunicativa per esprimere il proprio valore?
Forse è un approccio che si presta poco a essere comunicato commercialmente; riflette però l’impegno, come consulenti, a essere ciò che si chiede ai propri clienti di diventare, restituendo un’immagine limpida, coerente, professionale.
Ma c’è un elemento che può fare la differenza: specchiarsi negli altri. Avere uno spazio neutro in cui potersi confrontare, condividere riflessioni e criticità.
Se esiste un posto sicuro dove le competenze di ciascuno vengono messe a disposizione, l’immagine riflessa può arricchirsi e trovare nuove forme. Il valore di una équipe consolidata rende lo specchio un elemento attivo, capace di riflettere un’immagine in modo molto nitido, ma anche di fornire strumenti che possano plasmare chi ha scelto di posizionarsi lì davanti.
Ne abbiamo un riscontro concreto tutte le volte in cui, a fronte di un bisogno di un cliente, apriamo un confronto, condividiamo competenze e background. Solo così possiamo generare risposte, ma anche creare nuove domande che permettano di trovare soluzioni adattate al contesto, al cliente a all’organizzazione con cui il dialogo è stato aperto.
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Foto Ashim D Silva @Unsplash