L’unica certezza è che ho molte domande; non so se si tratti di domande appropriate ma nell’osservare ciò che sta accadendo intorno a noi c’è un affollarsi condiviso di punti interrogativi. A volte non ci sono neppure quelli: la realtà è così spiazzante che non riusciamo a formularli, siamo ammutoliti, non sappiamo tradurli in parole pur sapendo che albergano in qualche luogo, dentro di noi.
Ed è proprio da questa incapacità di formulare domande o di individuare la domanda delle domande (quella generatrice, come ci ha insegnato Paulo Freire) che prendono forma equivoci, tensioni, conflitti. Ma anche da cui nascono relazioni preziose. Nella consulenza, per esempio, la domanda è la scintilla della relazione, è l’avvio di una ricerca congiunta fra persone che abitano un’organizzazione e noi consulenti.
Quella scintilla però non sempre è visibile, non sempre è immediata; dove stanno allora le domande e quali sono quelle autentiche che colui o colei che ci contattata ci sta portando?
C’è uno spazio/tempo, a volte ancor prima di definire un processo di consulenza e un contratto, nel quale sostare per cogliere il senso della domanda, per far emergere gli interrogativi non esplicitati immediatamente, per scartare quelli retorici e/o capire il perché di questi e se ce ne sono anche di altri.
Domandare, dal latino demandare, ci dice di un affidare, di un raccomandare e poi, infine, di un chiedere.
Proprio perché il domandare è un affidare, rispondiamo alla domanda con una domanda: perché proprio a noi? Cosa porta te e la tua organizzazione a bussare alla nostra porta, alla porta di chi non ti fornirà risposte ma che ti affiancherà per un tratto di strada – la tua – alla ricerca di risposte?
È così che si prende il largo, che ci si addentra, affidandosi, nella consulenza che vede nell’ascolto condiviso delle domande, nell’individuazione di quelle generative di un cambiamento, la cifra distintiva del processo, in cui domande e risposte non sempre si alternano e, spesso, prima di individuare una risposta, si mettono a fuoco parecchie e nuove domande. Non esistono, infatti, risposte a priori, non sappiamo dove approderemo (potremmo intuirlo ma non avendone la certezza) ma sappiamo da dove salpiamo, qual è la domanda da cui partire.
Ho visto Tracce, uno spettacolo di narrazione di e con Marco Baliani. Ha generato in me stupore e domande, fra queste: com’è è nato questo spettacolo? Perché Baliani ha avvertito il bisogno di dargli forma?
Ed è Baliani stesso a rispondere, rilanciando a sua volta una domanda: Quando ho letto “Tracce” di Bloch, che è all’origine di questa impresa, mi è accaduto qualcosa del genere e allora mi sono detto: sarà possibile anche in teatro creare una condizione di ascolto immaginativo, dove si possa, come dice Bloch, “pensare affabulando”, dove le direzioni (anche formali, di linguaggi usati) siano molteplici, aperte, non linearmente definibili?
Dal teatro alla consulenza, da Bloch/Baliani a noi consulenti: possiamo pensare a relazioni di consulenza dove prima di noi, di un modello, di risposte preconfezionate, possa esserci un ascolto immaginativo che dischiuda direzioni molteplici, aperte e da definire insieme?
Riprendo allora fra le mani Per una pedagogia della domanda di Freire e penso come spesso a vendere siano le risposte di un guru e non le pedagogie della domanda e mi chiedo: cosa stiamo cercando?
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Foto Elaine Rystead @Unsplash