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La democrazia nei posti di lavoro

Tra la primavera del 1975 e il dicembre del 1979 un’importante azienda municipalizzata del Nord Italia diede vita a un esperimento.
Si tratta delle cosiddette “Conferenze di produzione”, una vicenda esemplare nella storia del movimento operaio italiano, una straordinaria (nel senso di fuori dall’ordinario) esperienza di partecipazione dei lavoratori (operai, tecnici e impiegati) alla gestione dell’impresa.
Come ricostruisce il libro La democrazia nei posti di lavoro (2005), le diverse articolazioni dell’azienda si riunivano in orario di lavoro per affrontare, senza limiti di ordine del giorno, i problemi posti dall’attività produttiva.

“Tutti avevano pari facoltà di espressione, tutti concorrevano in egual misura alle deliberazioni via via assunte. In breve, ogni aspetto della vita dell’azienda fu sottoposto al vaglio collettivo delle maestranze, che vennero di fatto svolgendo una funzione dirigente”.

Non un caso unico, tuttavia: “L’Italia di quel tempo era percorsa da fermenti democratici. Era diffusa in ogni ambito della vita sociale la consapevolezza di essere coinvolti in una grande impresa collettiva, di essere parti in causa nella storia del Paese”.
E infine: “La partecipazione democratica che veniva sviluppandosi nell’Italia dei primi anni Settanta […] si prendeva parte sulla scorta di competenze ed esperienze concrete, si discuteva mettendo in comune riflessioni e bisogni maturati nella pratica”.

Sono passati oltre quarant’anni, oggi quella municipalizzata è una grande società per azioni e probabilmente tutti noi consideriamo quel tipo di esperienza ingenua, inefficiente, ideologica addirittura.

Eppure la democrazia non è un’ideologia.
È una pratica.
Dove, come la si impara? Dove, come la si esercita?
Magari anche nei posti più impensati, come gli uffici, i laboratori, i supermercati e -se ne esistono ancora- le fabbriche.
Oppure nella scuola.

Ci sono processi democratici anche dove (e quando) meno te lo aspetti, perché la democrazia è un virus che le istituzioni italiane hanno contratto molto tempo fa ed è difficile da estirpare – nonostante i lodevoli sforzi che vengono compiuti da anni, su più fronti, non c’è che dire.

Che cosa significa dunque promuovere “democrazia” sui luoghi di lavoro? Probabilmente praticare principi democratici, come la partecipazione, il confronto, la dialettica e la trasparenza. Vuol dire forse promuovere uguaglianza, oltre che migliori condizioni di lavoro, retribuzione e produttività.

In tempo di pandemia vuol dire anche garantire luoghi di lavoro salubri e sicuri, e in tempo di crisi garantire processi di ristrutturazione aziendale sostenibili e socialmente accettabili.

I lavoratori hanno diritto di essere informati e consultati, di promuovere un dibattito significativo e tempestivo con le direzioni delle imprese a tutti i livelli pertinenti e di essere attivamente coinvolti nel processo decisionale delle rispettive imprese od organizzazioni prima che vengano assunte decisioni importanti.

Siamo spesso attratti dalle forme “autoritarie” di dirigenza aziendale, da quei leader che manu militari conducono un’organizzazione al successo.
Il loro pregio è “saper prendere decisioni”, quando invece dovremmo ricordare che la decisione migliore è frutto anche di un processo partecipativo, di una propensione al dialogo.
Dialogo che è uno dei migliori strumenti che i dirigenti hanno a disposizione per tenere insieme, in quella piccola comunità che sono le organizzazioni, persone molto diverse tra loro per preparazioni e aspirazioni.

Quello di cui c’è bisogno è attitudine al dialogo, rispetto, empatia, curiosità verso le posizioni altrui, perfino disponibilità a cambiare idea.
E per questo ci vuole tempo.

Che spazio c’è nelle organizzazioni per la discussione, il più possibile includente, al termine della quale arrivare alla decisione? 

Come ci suggeriscono gli interventi e i dati raccolti in questo spazio, sia la grandezza di un’organizzazione (dal punto di vista di dipendenti e consulenti) sia la sua stessa natura giuridica ostacolano o favoriscono i processi partecipativi, l’intraprendenza del singolo collaboratore o del singolo team.

L’incontro con realtà eterogenee durante i processi di consulenza ci porta a osservare differenti culture organizzative, più o meno propense alla condivisione dei processi decisionali.
E di tali culture i depositari (talvolta non disposti al cambiamento) non sempre sono i dirigenti ma lo possono essere anche dipendenti.
Per cui si può verificare uno scontro culturale laddove la cultura dell’impresa non è condivisa e dove si scontrano differenti modalità di intendere la governance.
Situazioni in cui all’interno della medesima realtà alla cultura cooperativa si contrappone quella autoritaria.

I processi di democrazia sono complessi e non lineari, in ogni caso devono essere voluti e agiti da tutti.
E spesso li ritroviamo dove non li avremmo immaginati.

Photo by Getty on Canva

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