Pippo Ranci è advisor della Florence School of Regulation, di cui è stato direttore, presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze. Ha insegnato Politica Economica all’Università Cattolica di Milano e all’Università di Bergamo. È stato presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (oggi ARERA) e poi del Consiglio di Sorveglianza di A2A spa. Con lui abbiamo dialogato per capire se e come è possibile attribuire un valore alla sostanza.
In una società come quella in cui viviamo, fortunatamente libera da un potere autoritario, ciascuno di noi ha la possibilità di sviluppare le proprie idee e scegliere quale valore attribuire alle cose. Il valore è dettato dalla soggettività degli individui e dalla varietà delle culture.
Più in generale possono intervenire nella definizione di valore sono i fenomeni legati alla moda, alle esigenze che cambiano nel tempo e anche al paese in cui viviamo. Ad esempio, il valore del latte fresco varia notevolmente tra diverse culture, come nel caso degli Stati Uniti dove la distinzione tra latte fresco e a lunga conservazione è meno evidente rispetto che in Italia.
Ci sono dunque aspetti di cultura locale che influenzano il valore di beni e servizi. Possiamo dire che esistono aree di condivisione di valori più o meno estese, a seconda del tipo di beni considerati, ma l’attribuzione di valore rimane estremamente soggettiva, riflettendo le differenze individuali e culturali.
Nella ricerca economica, si è soliti distinguere i beni privati, che hanno un prezzo determinato dal mercato, dai beni pubblici, che non possono essere valutati direttamente poiché manca un mercato di riferimento. Ad esempio, l’aria che respiriamo è un bene pubblico, e nessuno può comperare per sé un’aria meno inquinata (almeno all’aperto).
Possiamo poi sposare la tesi per cui il mercato potrebbe non riflettere sempre e accuratamente il valore e la sostanza delle cose. Per esempio, il lavoro viene spesso valutato troppo poco; ma troppo poco rispetto a che cosa? La valutazione varia in base a una certa visione del mondo, ma anche ai bisogni del lavoratore e potrebbe non tenere conto di ciò che il mercato del lavoro fornisce come risultato delle contrattazioni – più o meno implicite – che sono in atto. Allo stesso modo esistono beni che hanno un prezzo forse superiore al loro valore, quali ad esempio le automobili o certi beni di lusso.
Riguardo ai beni pubblici o ai servizi delle organizzazioni non profit, la mancanza di un mercato di riferimento complica l’attribuzione di un valore. Si apre quindi uno spazio per una valutazione collettiva e per la contrattazione, che può contribuire a definire un valore accettabile.
Negli ultimi due secoli e mezzo, spesso sono state effettuate delle correzioni del mercato. Ma ci troviamo ancora in una situazione in cui esiste una forte divergenza tra quello che vorremmo (o che vorrebbero alcuni di noi) e ciò che, invece, in effetti avviene. In questo processo è necessario considerare chi sono coloro che notano questa divergenza e che decidono di intervenire per ridurla. Se si è in molti e se si è organizzati, è possibile ottenere qualcosa. Se invece la maggioranza non è interessata al cambiamento, nulla potrà avvenire.
Il clima è un esempio molto evidente: è un bene pubblico, proprio in senso tecnico, infatti non si può comprare. Ma lo si determina modificando le condizioni di partenza. Le azioni per causare queste variazioni possono avere un costo. Gli economisti potrebbero allora accanirsi per misurare la differenza tra due scenari possibili: il primo in cui vengono poste in atto azioni che abbassino le probabilità di causare un riscaldamento climatico, e il secondo in cui nessuna azione viene realizzata. Quanto danno potrebbe creare lo scenario peggiore? Qual è il costo delle azioni da compiere per ottenere lo scenario migliore? Se ne potrebbe trarre una misura monetaria – anche se soggetta a diverse limitazioni – attraverso la quale sommare le azioni e il loro costo di mercato, per valutare quanto maggiore investimento la società dovrebbe apportare per sviluppare energie pulite. Si può stimare il prezzo del danno evitato, considerato una serie di fattori quali i flussi migratori risparmiati, lo spostamento di popolazioni, le distruzioni per eventi meteorologici estremi. Si tratta ovviamente di un calcolo altamente congetturale, ma possibile grazie agli strumenti che abbiamo a disposizione. Si tratterebbe di fare delle stime e di esprimerle in moneta, considerato che l’unità di misura ci è sempre necessaria.
Tutto questo può essere misurato, se serve misurarlo, per spingere i poteri pubblici all’azione, facendo una considerazione del benessere collettivo che verrebbe creato. Ricordiamoci che sarebbero stime con un carico di soggettività e molta imprecisione, ma che tuttavia potrebbero anche aiutare.
Allo stesso modo se dobbiamo capire se un paese è uscito da una condizione di povertà possiamo fare uno studio del reddito medio della sua popolazione, stabilendo dei valori a priori su cui basare la nostra analisi, costruendo degli indicatori da utilizzare poi anche nella nostra valutazione finale. Ma questi indicatori saranno diversi per ogni zona e per ogni situazione.
La valutazione del valore è dunque sempre soggettiva e legata alla cultura che la esprime. Il valore può essere collettivo, condiviso, ma mai oggettivo al punto da poterlo imporre ad altri.
La sostanza non è misurabile. Il suo valore si costruisce faticosamente caso per caso, attraverso persuasione e consenso, anche esprimendolo con un’approssimazione insoddisfacente come quella monetaria. Il contesto e la soggettività dell’individuo che applica dei modelli anche economici, portano a risultati sempre diversi e genererà sempre valutazioni differenti tra loro, per ricomporre le quali ci sarà da lavorare.
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Foto Tedorio @Unsplash