La mancanza di competenze genera competenze.
Non si tratta di un assunto filosofico ma di ciò che sperimento, che vedo in quei gruppi di lavoro in cui l’ascolto è una pratica attiva (gruppi di lavoro plurali e democratici, non ripiegati su di sé o assoggettati agli umori di chi li coordina).
Provo a spiegarmi meglio: le competenze non sono certificabili, nonostante quanto affermato dal florido mercato che le certifica. Le competenze sono tali se, nel lungo periodo, messe alla prova da un contesto mutevole e sfidante, rispondono creativamente alla missione che un gruppo, un’organizzazione, si sono dati.
Le competenze non sono un elemento acquisito una volta per tutte: si consolidano, si moltiplicano ma anche possono diventare obsolete o residuali rispetto al contesto in cui si opera. O semplicemente non essere altro che un titolo di studio su un attestato.
Le competenze sono una consapevolezza personale se testate, condivise e confermate da un gruppo; altrimenti rischiano di essere una narcisistica rappresentazione di sé e di ciò che si suppone di saper fare con maestria.
Ritorno così al gruppo e alla convinzione che è nella relazione (e il gruppo di lavoro è per eccellenza un luogo di relazione) che le competenze si compensano e sbocciano.
Ci sono competenze che non conosciamo (o che non ci riconosciamo) fintanto che chi lavora con noi, in un’ottica cooperativa, non ce le palesa; ci sono competenze che parevano a priori necessarie che però non si riveleranno tali. Ci sono competenze indispensabili e che fino a una determinata circostanza erano ignorate e impensabili.
Il gruppo manifesta tutto ciò, esaspera le mancanze ma è anche in grado collettivamente di colmarle, di rafforzarle, di orientarle al meglio. Se nel gruppo c’è chi coordina le competenze, le fa emergere, le orienta, le consolida, allora si assisterà a una fioritura di esse, anche laddove mancano.
Ci sono persone, e ne ho in mente parecchie, che, all’interno di team e indipendentemente dal ruolo contrattualmente ricoperto, hanno la competenza di sollecitare le competenze altrui; sono capaci di condividere profondamente l’obiettivo perseguito e di cogliere i vuoti e i pieni rispetto alle competenze strategiche di cui il gruppo ha bisogno. Persone paragonabili a una direttrice e a un direttore d’orchestra abili nel percepire, orientare e valorizzare le competenze di ogni strumentista.
In questo le parole di Ugo Morelli (tratte da Esseri umani/ Da dove viene e dove va la mente senza corpo?) mi permettono di cogliere quanto le competenze non siano un parametro di inclusione o di esclusione da un gruppo di lavoro ma sono il punto di partenza, il motivo per cui inizialmente ci troviamo in quel gruppo, per svolgere quei compiti. Dopo l’avvio della collaborazione di quelle competenze iniziali (quelle per le quali ciascuna persona è stata convocata, selezionata) rimarrà ben poco: da esse ci discosteremo sempre più.
Ci serve una prospettiva innovativa, un’epistemologia circolare che consenta di riconoscere come si sia passati, nel corso dell’evoluzione e con la nostra specie, dalla competenza alla comprensione: l’insieme di quei processi che consentono di capire cosa facciamo e di trovare un senso alle nostre azioni.
Dalle competenze alla comprensione in un’ottica di leadership di servizio: una prospettiva intrigante, un modo differente per stare nei gruppi di lavoro, per affiancarli, per coordinarli. Per farne semplicemente parte.
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Foto di Terri Bleeker @Unsplash