Quando visitiamo un museo o una mostra le didascalie ci guidano attraverso il percorso, ci presentano le opere esposte e forniscono una chiave di lettura. Tipicamente un pannello posizionato nella prima sala introduce il tema. Altri ci vengono proposti addentrandoci nel percorso. Altre parole sono a corredo delle opere indicandoci autore, provenienza, data di realizzazione.
Spesso queste didascalie sono incomprensibili.
Recentemente visitando una mostra mi sono chiesta se la mia preparazione non fosse adeguata e la mia cultura generale lacunosa, tanto da non riuscire a comprendere la profondità dei temi trattati. Ma non si tratta tanto della mia preparazione, quanto della capacità di comprendere un testo. E allora mi sono risposta che partecipare a una mostra dovrebbe essere per tutti. Non dovrebbero esserci barriere nella possibilità di godere di questa esperienza.
Ma qualcosa non funziona: a cosa serve mettere a disposizione del pubblico parole incomprensibil – o di difficile comprensione? Perché farmi sentire inadeguata? Si tratta del narcisismo di chi le didascalie le scrive? I curatori ci mettono alla prova?
Qualunque sia la risposta, mi sembra chiaro che si tratta di una (forse deliberata) azione di esclusività. Le parole delineano un confine tra chi è in grado di comprendere le didascalie – o di fingere spudoratamente di averle comprese – e chi invece non potrai mai fare parte di quella élite. Hanno il potere immediato e concreto di farci sentire appropriati, oppure no.
Lo ammetto, forse ho un po’ esagerato e a volte anche io riesco a comprendere a ad arricchirmi grazie alle didascalie delle opere esposte nei musei. Ma il senso di inadeguatezza che mi è capitato di provare in questa situazione vale in tutte le circostanze in cui le parole vengono spese per escludere, invece che per accogliere.
Ogni cosa detta o scritta ci colloca in una dimensione, ci esclude o ci include, ci separa o ci unisce al contesto. Le parole producono stati, azioni, cambiamenti.
Non esistono giorni in cui viviamo senza parole – lette, scritte, pronunciate. E spesso senza accorgercene con esse tracciamo traiettorie, definiamo, agiamo. Quando scriviamo una e-mail a un collega, ogni volta che contattiamo un nuovo cliente, quando ci rivolgiamo ai nostri famigliari, ma anche quando parliamo con noi stessi: attingiamo dal nostro bacino di esperienze e conoscenze, costituite da esperienze diventate parole.
Tra tutti gli strumenti che influenzano la nostra società, il linguaggio riveste un ruolo fondamentale. È mezzo di regolamentazione e definizione delle norme e dei valori collettivi. Le parole che usiamo non sono solo espressioni di pensieri, ma strumenti potenti che plasmano la realtà. Il modo in cui scegliamo di comunicare e le parole che selezioniamo per descrivere le idee, le persone e le situazioni hanno un impatto significativo sulla percezione che la società ha di sé stessa e delle altre persone. Attraverso il linguaggio stabiliamo standard, norme di comportamento, modelli culturali che influenzano la nostra convivenza e determinano ciò che è considerato accettabile o inaccettabile, inclusivo o escludente. Il linguaggio assume un ruolo di responsabilità, poiché può perpetuare stereotipi dannosi o promuovere l’uguaglianza, può nutrire il dialogo costruttivo o alimentare divisioni.
Quando parliamo definiamo chiaramente. II modo in cui raccontiamo qualcosa o descriviamo qualcuno è sempre delimitante, fissa dei confini, solca tracce profonde. Le parole forniscono una chiave di lettura, dicono dove siamo presentandoci il contesto. Scegliere di dire – o non dire – fa la differenza.
Siamo custodi del nostro linguaggio, responsabili delle parole che scegliamo di pronunciare e scrivere. Ogni conversazione, ogni post sui social media, ogni messaggio inviato ha il potenziale di influenzare il mondo intorno a noi. Le parole possono rompere il silenzio, dare voce a coloro che sono stati ignorati e trasformare la nostra realtà. Le parole corrispondono ad azioni e intenzioni. Dicono chi siamo e cosa vogliamo fare. Lasciando sempre una traccia, generando sempre un’azione.
Riconoscere il potere delle parole e adoperarle con attenzione e consapevolezza è un compito imprescindibile per rendere una società equa, inclusiva e rispettosa delle diversità.
Le parole hanno un peso, e noi abbiamo il potere – e il dovere – di farle vibrare.
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Foto Meric Tuna @Unsplash