Marta Ceron è responsabile della comunicazione di Excursus +
Diversi anni fa una delle mie lezioni universitarie iniziò con un ascolto musicale: Un senso.
La canzona dice così: voglio trovare un senso a questa storia, perché questa storia, un senso non ce l’ha…
Si trattava di un esame incentrato sulla teoria della comunicazione e sull’interazione dei sistemi complessi. Posto che nelle nostre ultime newsletter citiamo volentieri dei pezzi musicali, cosa c’entra Vasco Rossi con la Progettazione? Ecco, credo che il ritornello di questa celebre melodia c’entri moltissimo…
Il ‘Senso’ che canta Vasco Rossi è il Telos, lo scopo che sta all’interno di ogni percorso e progetto. Si tratta del fine, ma anche dell’urgenza che ci spinge a progettare. Richiama l’intenzionalità, il raggiungimento degli obiettivi che evocano le nostre azioni ma anche i progetti delle organizzazioni con cui collaboriamo.
Ciascuno di noi ha almeno un fine, in quanto individuo e all’interno del sistema lavorativo in cui è inserito. Vi si aggiungono una serie di ‘scopi altri’ e di modi in cui questi stessi scopi vengono perseguiti. L’insieme di questi aspetti rende un’organizzazione – o un individuo – ciò che è, la definisce e la differenzia dalle altre. Inseguire un obiettivo comporta una funzione sociale e collettiva, arruola tutti gli attori coinvolti e si riversa nelle azioni che ne tracciano il percorso. Possiamo allora parlare di progettazione etica?
Onde evitare fraintendimenti, definiamo progettazione l’insieme delle fasi di pianificazione e la programmazione delle attività che portano a un risultato. All’interno di questo processo quasi sempre viene richiesta una valutazione del contesto, dell’impatto del progetto che andremo a realizzare e degli obiettivi che intendiamo raggiungere. In questa fase, il nostro Telos (del progetto ma anche dell’organizzazione) deve essere molto chiaro: se gli scopi che intendiamo perseguire non lo saranno, il progetto non starà in piedi e non sarà finanziato.
Non solo, dobbiamo sapere esattamente a quale bisogno intendiamo rispondere e come forniremo la nostra risposta. Tutto ciò definisce il Telos.
Nel terzo settore è forse più semplice individuarlo (fare housing sociale, costruire ospedali in zone di guerra, avvicinare i giovani alla cultura): si tratta di azioni che portano a un beneficio sociale generalmente condiviso. Se invece rivolgiamo lo sguardo alle organizzazioni che perseguono un profitto, il valore del Telos potrebbe essere messo in discussione, soprattutto se il bisogno a cui rispondere risultasse improprio o sconveniente. Si aggiunge una riflessione relativa al modo in cui lo scopo viene raggiunto, su quali urgenze interviene e anche quali altri bisogni intercetta.
Un esempio: una buona progettazione per rispondere al bisogno di restare sempre giovani tipico della nostra società, resta una buona progettazione? Cosa dire, all’estremo, della costruzione di armi?
Forse una progettazione etica, che insegua una sua morale, non esiste. Esistono bisogni diversi e modi diversi di approcciarli.
Ma ciò che fa una certa differenza è avere coscienza del fare e delle relazioni che si attivano nella definizione e nella realizzazione di un progetto – qui interviene l’etica: interrogarsi sullo scopo, su come questo verrà realizzato, sul bisogno da cui partiamo; cosa sia lecito e auspicabile, quali comportamenti adottare.
Partire dalle domande, dalla consapevolezza che farsi domande può generare, è già qualcosa. Avere cognizione di chi si è, cosa si fa e come lo si fa.
Ma anche aver contezza delle relazioni che si creano e si coltivano durante la ricerca del proprio scopo.
Cerchiamo allora – tornando a Vasco Rossi – di trovare anche il senso della storia, dei suoi attori. Non basta mai il tempo, perché la progettazione etica richiede un confronto continuo, senza fine. Domani arriverà lo stesso, ma di certo l’etica, la consapevolezza di ciò che siamo e ciò che vogliamo, potrà aiutarci ad arrivare preparati.
Foto Mak @Unsplash
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