Michele Giuli è un’attivista, co-fondatore di Ultima Generazione e insegnante di Storia. È considerato una delle voci più autorevoli dell’attivismo ambientale in Italia.
Quanto conta la rabbia nel vostro percorso di attivisti?
Recentemente ho visto un video di Roger Hallam, fondatore di Extinction Rebellion, attualmente in carcere nel Regno Unito. In quel video tiene un discorso pubblico ed è molto arrabbiato con gli attivisti che non praticano la disobbedienza civile e non agiscono con l’urgenza richiesta dalla situazione attuale. Per me, personalmente, è stato significativo vedere il leader di un movimento civile non violento esprimersi così. Siamo abituati a immagini felici – probabilmente per fare maggiore pubblicità -ma scoprire che dietro c’è anche rabbia perché non si fa abbastanza, mi ha colpito profondamente. Mi sono sentito alienato, ma è stato importante.
La rabbia è un’emozione difficile da gestire. Come l’insoddisfazione, può essere un motore di forza per chi fa parte di un’organizzazione come la nostra, ma è complicata da accompagnare. Serve tempo e impegno per trasformare la rabbia in qualcosa di positivo.
Credo che la rabbia sia inevitabile nei movimenti radicali, ma bisogna distinguere tra leadership e volontari. Un leader, sebbene possa provare rabbia o insoddisfazione profonda, deve essere capace di incanalarla in modo costruttivo.
È fondamentale strutturare un linguaggio interno alle organizzazioni per affrontare la rabbia. Sono d’accordo con Marshall B. Rosenberg, che la definisce un’emozione secondaria, un’espressione maldestra di bisogni profondi come tristezza o desiderio di cambiamento. È una fase, un passaggio verso qualcos’altro. Chi prova rabbia utilizza generalmente un linguaggio negativo. La leadership deve trasformare questo sentimento attraverso un linguaggio positivo, rendendolo contagioso.
L’energia negativa è anche energia positiva, e così l’energia violenta genera energia non violenta, ma bisogna avere il coraggio di trasformarla e di utilizzarla. Per avere delle persone che agiscono con un certo livello energetico e con una visione importante è necessario non soffocare la propria rabbia. E quindi bisogna parlarne, non nasconderla, non metterla sotto il tappeto; ma purtroppo spesso accade il contrario, col rischio di sublimare e di avere tutti i litigi tipici del mondo dell’attivismo, perché hai persone che la sublimano talmente tanto che continuano a covare dentro di sé un rancore che poi esplode, o li porta ad andarsene.
Avete pensato a delle attività di formazione specifica su questi temi?
In un mondo ideale vorremmo farlo di più, ma già lavoriamo su tecniche di comunicazione non violenta e metodologie per la trasformazione dei conflitti. È un aspetto fondamentale del nostro lavoro.
Come è organizzata la leadership di Ultima generazione?
Il nucleo centrale è composto da sei persone, me compreso, che lavorano a tempo pieno e sono profondamente coinvolte. Ci sono poi circa sessanta volontari distribuiti in 16 città italiane, che dedicano molto tempo all’organizzazione. È un buon risultato, ma possiamo migliorare. Non abbiamo ancora raggiunto il livello di consapevolezza necessario per affrontare le sfide future.
La rabbia può essere uno strumento per superare l’impotenza e sentirsi parte attiva di un cambiamento?
Credo che il nostro compito sia organizzare la rabbia, non provocarla. E dobbiamo essere pronti: nei prossimi cinque anni anche l’Italia affronterà gravi danni ambientali, come quelli visti recentemente in Spagna. La somma di questi eventi porterà le persone a muoversi, a reagire. Eventi simili a quelli scatenati da Rosa Parks o dall’uccisione di George Floyd accadranno anche per noi: ci sarà un momento in cui una certa soglia verrà superata, e la rabbia esploderà. Non sappiamo quando, ma dobbiamo essere pronti. Non si tratta di destabilizzare, ma di aspettare quell’evento che risveglierà le persone e di gestirne le reazioni.
Questa è una grande sfida per chi fa politica dal basso. Quando la rabbia sociale esplode, è troppo tardi se non hai strutture organizzative pronte per accoglierla e gestirla. Servono persone formate, disciplinate e con linee guida chiare. Oggi, sinceramente, non vedo in Italia movimenti pronti per affrontare la portata di ciò che sta accadendo.
A livello personale, credo che non si debbano avere aspettative. Serve fiducia: la spinta arriverà, ma potrebbe richiedere altri cinque anni. È faticoso aspettare, ti senti solo, ma la leadership deve restare accesa, continuare a lavorare, cercare risorse e migliorare.
Serve essere arrabbiati per fare la rivoluzione e generare un cambiamento?
Penso che serva equilibrio. La rabbia è necessaria, ma va coltivata e gestita nel tempo. Quando ho iniziato, tre anni fa, ero molto più arrabbiato. Quella rabbia è stata essenziale per fondare Ultima Generazione e fare un salto di coraggio che altrimenti non avrei fatto. Oggi la rabbia è meno presente perché l’ho sublimata in attività concrete – burocrazia, raccolte fondi, organizzazione.
Ogni tanto è utile tornare a contatto con il proprio lato istintivo, lasciar emergere quella rabbia in modo sano. Il problema è quando la tua rabbia non è in sintonia con gli eventi, con ciò che accade dentro di te, nella tua organizzazione o nel mondo.
Le organizzazioni rispecchiano i loro leader: quando il rispecchiamento funziona, tutto scorre. Quando non funziona, si creano frizioni. È fondamentale saper cogliere i momenti giusti per indignarsi e agire, facendo scelte non sempre razionali, ma necessarie.
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Foto Fernando Cferdo Photography @Unsplash