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Gentilezza interculturale. Oltre le parole

Maral Shams è interprete e traduttrice per le lingue inglese, spagnolo e persiano; è di fondatrice World Bridge e vincitrice dell’edizione 2024 del concorso letterario Lingua Madre.

Nelle diverse culture che hai incontrato, che conosci e con cui ti sei relazionata, esistono codici di gentilezza diversi, che rendono più facili i fraintendimenti?

C’è un esempio molto recente con cui sono venuta a contatto: negli asili viene spesso detto, prima del pasto, Buon appetito, piatto pulito. Per i bambini si tratta di una ritualità, che è anche un invito a finire ciò che hanno nel piatto. Nella nostra cultura ha un senso; ma non lo ha, ad esempio, nella cultura cinese – anzi, solo in determinate aree geografiche della Cina – dove finire tutto il cibo viene inteso come un gesto maleducato, perché sottintende che l’ospite non ti abbia offerto abbastanza, mentre avanzare qualcosa nel piatto indica che si è stati saziati a volontà. 

Tutti sappiamo che quando siamo a contatto con un’altra cultura queste differenze possono esserci. Ma allora che cosa può riparare un piccolo incidente culturale come questo? Un sorriso. Il linguaggio del corpo, che è universale.

Il livello mentale accompagna le parole, tutto ciò che viene verbalizzato; ciò che non viene verbalizzato, sicuramente più autentico, passa attraverso il corpo. Infatti, tantissime lezioni di cultura di lingua non funzionano da remoto nello stesso modo in cui funzionano in presenza. Mettere insieme le due parti – mente e corpo – aiuta a riparare l’errore e a riequilibrare la relazione. Se manca l’intenzione di gentilezza, il corpo la rende esplicita; quando questa intenzione è presente, il corpo riesce sempre a riparare.

La gentilezza può essere strategica? Quando è sopravvalutata?

La gentilezza può essere strategica. Ma a quel punto non la chiamerei più gentilezza. Si chiama savoir-faire, saperci fare con le persone.
Se lasciamo da parte salamelecchi e usi e costumi e iniziamo a parlare di gentilezza autentica, reale, essa non è mai sopravvalutata, ma sempre costantemente apprezzata. Ed è un linguaggio universale, che può passare anche attraverso uno sguardo, una carezza. Un linguaggio non verbale che non ha bisogno di spiegazioni e che non corre il rischio di essere travisato – come la musica. Se invece parliamo di finte smancerie, di quella gentilezza di facciata, quando invece è chiaro ed evidente che i toni sono molto accesi e la tensione emotiva forte, allora quella non è gentilezza, ma strategia.

Credo che la gentilezza non possa esistere quando c’è uno scontro. Per veicolare un messaggio difficile, per dire delle cose durissime – anche se c’è rispetto – la gentilezza non può esserci. Se ci sono opinioni contrastanti c’è sempre una persona più arrabbiata di un’altra, a torto o a ragione, e la gentilezza non può trovarvi uno spazio.
Ci sono certamente persone con più strumenti comunicativi, che riescono ad essere assertivi ed efficaci anche senza alzare i toni o la tensione; e poi ci sono persone che proprio non ce la fanno. La gentilezza è una pratica e più strumenti si hanno, più sarà possibile praticarla anche nelle situazioni di tensione e di conflitto.

Credi sia possibile imparare la gentilezza?

La gentilezza non si acquisisce, si respira. Quando cresci avendo visto conflitti e tensioni risolte con gentilezza, riesci a praticarla senza che sia un atto di volontà, ma un’azione spontanea, autentica. Quando invece la gentilezza è forzata, perché non l’hai vissuta, non l’hai respirata, ma la devi praticare, risulta molto goffa. E allora spesso viene percepita come qualcosa di strano: parole gentili con un tono nervoso, o viceversa. E non funziona. Credo che, però, non si possa praticare gentilezza se non la si è in qualche modo capita e vissuta.

Capita che si dicano cose assurde, pesantissime, in modo ironico. Così anche Pulcinella ridendo e scherzando disse la verità, ma Pulcinella è un personaggio della commedia dell’arte. Riportare queste dinamiche in una dimensione casalinga o in un ambiente lavorativo, utilizzando la parola, l’ironia e lo scherzo per dire cose terribili, ci porta in una forma di violenza psicologica.

Mi sento molto attenta e ricettiva rispetto alle parole che si usano. Essendo una traduttrice di formazione, ogni virgola e ogni pausa per me contano, hanno un peso emotivo. Detto ciò, esistono criteri standard che ci permettono di capire che ci sono cose moto dolorose, soprattutto perché ti vengono riportate con finta gentilezza o con sarcasmo, e rendono difficile anche solo formulare una risposta. Ma è il contenuto ad essere il pilastro che sostiene una casa: esso corrisponde alle basi, alle fondamenta di un discorso e di un contesto. Il modo in cui il contenuto viene riportato è l’arredamento.

Esiste una grammatica delle emozioni e una grammatica delle parole così come esistono degli standard universali oggettivi, validi per tutti. Stai zitta è brutto in tutte le lingue del mondo. Così come le frasi di esclusione o di negazione fanno male dappertutto, anche in quelle culture che hanno tempi verbali o pronomi diversi dai nostri.

Chi è nato e vissuto in contesti conflittuali deve fare un atto di sforzo importante per essere autenticamente gentile. Ma imparare la gentilezza è possibile percependosi in un altro contesto, comprendendo la differenza di come si viene sentiti quando la si pratica, osservando come cambia il proprio sguardo se messo insieme a quello degli altri. Ovviamente c’è sempre bisogno di qualcuno che aiuti, soprattutto se non l’hai sentita sin dai primi giorni della tua vita. È un percorso, non più qualcosa di innato. Si tratta di una presa di coscienza che richiede una rete, in cui avere anche l’umiltà di saper chiedere aiuto.

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Foto Richard Bell @Unsplash

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