Emanuele Spina è docente ed esperto di politiche dell’Unione europea; vive e lavora a Bruxelles.
In questo frangente storico, che comprende sia le difficoltà internazionali sia la situazione politica in Italia, le istituzioni europee, con riferimento all’Italia, sono attendiste e rispettose ma con un certo grado di preoccupazione.
C’è l’aspettativa di serietà da parte del governo che si andrà a insediare, in particolare nella presa d’atto di una realtà che è a dir poco complessa, in particolar modo proprio per l’Italia, che non ha molto da rivendicare. Oltre al tema del price cap -cioè’ mettere un tappo comune a livello europeo al costo dell’energia – l’Italia ha già ricevuto molto, più di tutti, proprio con il PNRR.
Nello specifico, si può dire che la preoccupazione europea rispetto all’Italia e al suo PNRR riguarda gli aspetti di stabilità economica e la possibilità che possa fare ulteriore debito per reperire risorse – il famoso “scostamento di bilancio”. C’è poi anche l’aspetto di iniziative politiche del futuro governo di chiara impronta di destra, con riferimento alle tematiche sociali e ai diritti civili.
Più complessivamente, da un punto di vista politico e di traiettoria dell’Unione, le istituzioni europee e gli altri Stati membri (almeno alcuni) non sono preoccupati dell’Italia in quanto tale, ma del fatto che l’onda sovranista possa espandersi in altri paesi: la Spagna che andrà al voto l’anno prossimo o la Francia, seppur le elezioni si siano svolte recentemente. La preoccupazione, in questo senso, è che possa farsi strada una posizione politica degli Stati membri che punti più a un’Europa di nazioni che di volta in volta negoziano su ogni tema, piuttosto che, come è oggi, un’Europa quasi-federale dotata di istituzioni e regole comuni già concordate e da applicarsi.
Quanto al PNRR, la possibilità di una sua rinegoziazione non esiste sulla carta. Gli accordi presi, per altro su proposta dell’Italia, non sono imposizioni, come mai accade nei rapporti con l’Unione Europea, ma sono appunto il frutto di proposte fatte dall’Italia (e da ciascuno degli altri Stati membri) nell’ambito di un framework condiviso, e poi accettati dalla Commissione. In questi testi non è prevista una revisione degli impegni, delle timeline, dei contenuti; questo non significa che, come per ogni accordo, non sia possibile sedersi al tavolo per rivedere alcuni punti. In altre parole, non è previsto ma non è nemmeno impossibile.
Il problema, piuttosto, riguarda le conseguenze di questa eventualità; in particolare rispetto alle tempistiche: andare a rinegoziare il PNRR essendo il Paese che più ne beneficia – l’Italia riceve più di 200 miliardi di euro, gli altri paesi, a seconda dei casi, molto meno – crea un problema di parità di trattamento.
Un altro aspetto è quello di spostare in avanti i tempi di erogazione delle risorse del PNRR nella forma già accordata. Sappiamo che i fondi sono stati erogati per una parte, ma la gran parte deve essere ancora somministrata: andare a rinegoziare ora vuol dire quantomeno spostare in avanti i tempi, ed è opportuno chiedersi se questo abbia senso nella durissima congiuntura attuale.
Da ultimo l’Unione Europea, con l’avvento della guerra e della crisi energetica, ha dato spazio ai governi nazionali per proporre modifiche con riferimento agli aspetti relativi alla transizione ecologica, riferiti alla crisi energetica, ovvero lo spostamento sull’utilizzo delle risorse rinnovabili. È un capitolo nuovo, previsto già dall’Unione Europea nell’interlocuzione con gli Stati, che rappresenta un’ampissima parte del PNRR e in cui ogni Governo, in Italia o altrove, può naturalmente intervenire scrivendo una pagina nuova sui temi dell’energia e della transizione ecologica, collegati l’uno all’altra. Non è una rinegoziazione: c’è già uno spazio di novità, proprio inserito alla luce di quello che stava accadendo e che sta accadendo ancora. Pertanto, ridefinire potrebbe avere ancora meno senso se i temi della rinegoziazione appartengono a quell’ambito.
Ampliando lo sguardo a tutti i Paesi membri dell’UE, nella ricerca di buone pratiche inerenti i Piani nazionali, possono essere menzionati alcuni casi riferibili al tema dell’energia sostenibile, che poi è l’elemento fondamentale dei PNRR. È opportuno, confrontando i diversi Piani, tenere conto che le dimensioni dell’aiuto ricevuto da un Paese all’altro variano molto e che l’Italia è il primo beneficiario, con un significativo distacco dagli altri.
In Spagna, per esempio, la buona pratica è quella di un incremento delle risorse rinnovabili proprio come elemento che guida lo sviluppo dell’intero paese; in Germania la strategia mira a spostare l’attuale trasporto su gomma a quello elettrico. Sempre in tema di grandi iniziative sulle energie rinnovabili c’è un’attenzione molto sviluppata nei Paesi dell’Est Europa. Spostando lo sguardo altrove, in Portogallo si sta spingendo sulla produzione del gas da fonti rinnovabili e sulla decarbonizzazione dell’Industria, così come anche in altri Paesi quali la Romania e la Bulgaria. Queste sono alcune buone pratiche che spiccano rispetto a quello specifico punto del Piano.
Avendo l’Italia concordato una quantità di risorse molto più significative rispetto a quelle fra gli altri Paesi membri e la Commissione Europea, il nostro Paese ha la possibilità di spalmare queste stesse risorse su temi più variegati rispetto a quello della transizione ecologica su cui tutti, in alcuni casi anche in modo contraddittorio, convergono; in modo contraddittorio perché esistono situazioni di ritorno agli aiuti per la produzione di fonti fossili, anche se parzialmente.
Anche per l’Italia del PNRR quello della transizione ecologica è il motore di sviluppo dell’intera economia, ma non l’unico tema su cui vertono le risorse del Piano. Ci sono infatti altri ambiti di intervento, non riproducibili altrove proprio per la differenza delle risorse e delle condizioni di base, quali quelli delle cosiddette riforme strutturali: si pensi alla riforma della Giustizia o della Pubblica Amministrazione, che servono per dare possibilità agli investimenti di trovare spazio e frutto in un ambiente che possa accoglierli. In altri Paesi, o non è necessario intervenire in tali ambiti perché già le cose funzionano, oppure perché le risorse ricevute non sono abbastanza per potersi dedicare a riformare settori così strutturali, che strettamente parlando non sono inerenti alla pandemia, alla guerra o alla crisi energetica.
Un altro ambito importante del PNRR italiano, che nel Piano di alcuni altri Paesi manca del tutto o è assai meno sviluppato, è quello relativo agli aspetti della socialità, quindi dell’inclusione sociale. Il fatto che esista già questo capitolo è positivo; si tratta di un aspetto molto dibattuto e imprescindibile.
Per quante siano le risorse che altri i Paesi dedicano allo sviluppo industriale, seppur green, il Piano nasce zoppo se nemmeno una minima parte di queste viene dedicata all’inclusione sociale: l’attenzione a questo aspetto di riduzione delle disuguaglianze dovrebbe essere centrale, in Italia come altrove.
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