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Meno FOMO, più JOMO


Da un dialogo con

Mafe de Baggis, digital strategist. Lavora per liberare le energie delle aziende e delle persone usando le storie per mettere ordine nel loro modo di comunicare, di raccontarsi, di entrare in relazione con gli altri.

La paura di perdere qualcosa è stata velocemente siglata con l’acronimo FOMO Fear of Missing Out. Credo sia uno di quei casi lampanti in cui un problema viene creato, etichettato, suggerito. Si tratta di un uso manipolativo del priming -un bias che funziona anche se nessuno vuole manipolarci – che consiste nel far notare qualcosa a qualcuno in modo che questo qualcuno inizi a porvi attenzione in modo crescente. E’ una tecnica, non del tutto etica, usate nella comunicazione pubblicitaria e politica. Quando si parla di marketing e tecnologia, oppure di marketing della tecnologia, questo problema prende dimensioni enormi perché vengono continuamente proposti nuovi usi possibili che diventano velocemente necessari.

Così ci viene suggerito di postare almeno quattro volte la settimana per stimolare l’algoritmo di Meta, di provare l’ultima versione di Instagram, di cambiare telefono per usare la nuova fotocamere e scattare foto meravigliose. E’ grave quando si tratta vendere qualcosa; gravissimo quando si suggeriscono problemi sociali.

Ma questa paura è tipicamente e profondamente umana: sappiamo bene, e da molto tempo, che ogni volta che facciamo qualcosa stiamo rinunciando a qualcos’altro. È ovvio che sia sgradevole, in alcuni casi doloroso, ma ci abbiamo sempre fatto i conti. Sebbene le possibilità siano aumentate, nemmeno nel ‘mondo di prima’ era piacevole scegliere a quale festa andare, quale film guardare o quale libro leggere. Ciò che è cambiato è che la FOMO è diventata una gigantesca operazione di marketing capace di creare urgenze per indurci al consumo, enfatizzata per spingere le persone a provare subito nuove funzionalità tecnologiche, nuovi prodotti, nuove esperienze.

Nel libro di Oliver Burkman Time management for mortals l’autore ci ricorda che il vero problema è che ogni scelta rappresenta una piccola morte e che noi non vogliamo accettare di morire. Così quando ogni estate tornerò nella mia solita e amata spiaggia, starò escludendo tutte le altre spiagge a cui potrei accedere. Questo meccanismo è sempre presente nel marketing. Ma se le scelte diventano sconfinate, le persone faranno molta più fatica a prendere una decisione; vale per la spiaggia, così come per i beni di consumo che ci aspettano sullo scaffale del supermercato.

Come scrivevo in uno dei miei primissimi libri: se non sai a cosa serve, non ti serve. Oggi, quando i miei clienti chiedono cosano possono fare con le AI, smonto e ribalto la domanda: cosa ti serve che le AI facciano per te? Partire dai propri bisogni, dalle mancanze, dai problemi ha davvero un senso, piuttosto che rincorrere novità, strumenti e tecnologie.

Negli anni mi è capitato spesso di ricevere richieste legate all’uso di strumenti specifici, ma solo entrando in profondità e cercando di capire perché quel cliente volesse iniziare a usare quel dato strumento capivo che il bisogno spesso era indotto, sollecitato da email promozionali o dalla chiamata di un commerciale, dalla lettura di un articolo sulle potenzialità di tale software. Così spesso si viene indotti a credere di aver davvero bisogno di qualcosa che fino al giorno prima non sapevamo esistesse, ma che (forse) si sta già utilizzando. Io continuo a credere che, invece, debba essere il comportamento a guidare la tecnologia, non viceversa. Il grosso rischio insito in queste dinamiche è di arrivare a mettere in dubbio strategie ragionate, che funzionano benissimo, per sostituirle a strumenti e nuovi metodi che non servono affatto e che, anzi, possono peggiorare la situazione.

Il rischio di trovarsi in una tempesta perfetta è molto alto per chi deve scegliere quali strumenti utilizzare e come utilizzarli, avendo a disposizione poche risorse e poca conoscenza, ma ricevendo continue sollecitazioni dall’esterno. E non si tratta più solo di strumenti. Ci sentiamo sotto pressioni in moltissimi aspetti della nostra vita.

Oggi che le vacanze sono vicine, in molti dichiarano di aver programmato di leggere saggi, di dedicarsi a Gemini e alla sperimentazione delle AI, il tutto durante la pausa estiva. Io credo invece che ciascuno di noi abbia bisogno di staccare, di uscire dall’idea di doversi impadronire di tutto. Riposarsi ci permette di entrare più lucidamente nel merito delle cose, di capire cosa ci serve davvero.

Per far fronte all’ansia di perdersi qualcosa serve sviluppare quella competenza che permette di capire quando la fretta è reale, necessaria, e quando invece viene indotta. È molto difficile arrivare a questa consapevolezza. Dobbiamo coltivarla, imparando a fermarci e a chiederci se ci serve davvero e ammettere, che perdersi qualcosa a volte potrebbe essere bellissimo. JOMO: Joy of Missing Out.

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Foto Cottonbro @Pexels