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Non un sostituto, ma un nuovo equilibrio

Le dimissioni fanno parte della mia esperienza. Insegnavo, e mi sono dimessa da varie scuole. Dopo ho fatto un lavoro di ufficio, per molti anni, e anche da lì me ne sono andata. Nel primo caso, ho lasciato le scuole perché sentivo di aver esaurito il mio compito. Avevo bisogno di rinnovarmi. Il successivo lavoro di ufficio non mi interessava, ma mi ha dato un contratto solido: da questa esperienza mi sono dimessa -nonostante fosse un lavoro sicuro e ben pagato- per dedicarmi all’associazione culturale dove lavoro adesso. All’inizio una scelta rischiosa, ma molto stimolante -e oggi il lavoro in associazione è più stabile-. Sono stati processi dalle motivazioni abbastanza evidenti, almeno a me stessa.

Certamente, ho visto anche gente andarsene. E ho in mente un caso in particolare: dimissioni annunciate, non improvvise, senza alcuna sorpresa. Ma che, ciononostante, sono state un evento molto significativo. Per quanto fosse stato in teoria pianificato, in realtà non lo era: in un certo senso, fino a quando non avviene non ci credi.

Nel caso specifico non ho avuto molto potere di correre ai ripari, dato il mio ruolo. Fossi stato il capo, forse avrei preso decisioni diverse. In realtà ho assistito, forse ho subito la situazione, senza poterla governare.
Dopo le dimissioni è stato difficile. Ma perché il posto di lavoro è difficile: tutti fanno troppe cose, i ruoli sono intersecati. Quando se ne va uno, saltano le filiere. Perché una persona che se ne va crea uno squilibrio. La persona che si è dimessa faceva tante cose, e alcuni di questi compiti, a distanza di tempo, non ancora stati riassegnati. Non basta mettere un annuncio sul giornale e trovare un sostituto. Io credo capiti se i posti di lavoro sono piccoli, ci sono pochi soldi, e c’è molta partecipazione anche umana al lavoro. E quindi magari anche sacrifici, laddove non è il profitto che ti spinge.
Oggi forse stiamo trovando un equilibrio diverso. Ma serve molta buona volontà.

Non solo: quelle dimissioni sono state un momento di crisi, per certi versi anche molto utile. Ha provocato nello staff un momento di riflessione sul senso del lavoro, e sulla gestione dell’associazione. 

Dal mio personale punto di vista, forse sto anche meglio di prima: è stato utile pensarci, ne ho ricavato un insegnamento. E più in generale, all’interno del gruppo di lavoro, ci si è resi conto che l’ipotesi dimissioni hanno creato un precedente. È stato un evento che ha creato scompenso e malessere, ma sollecitato riflessione, fatto cadere un velo. Problemi che erano solo ‘detti’, sono diventati concreti.

In sostanza, credo che quando una persona lascia il suo lavoro, chi resta deve concentrarsi non tanto sul cercare il sostituto perfettamente aderente al dimissionario -cosa impossibile- quanto sul trovare un nuovo equilibrio. In secondo luogo, vanno considerate le dimissioni come un effetto, laddove la causa, il problema, può essere una cattiva gestione dell’organizzazione. Tradotto: non c’è nessuna recriminazione verso chi ha deciso di andarsene, nessun senso di “tradimento”. I suoi disagi erano anche i nostri. Il suo bisogno di cambiamento era condivisibile.
Neanche alcuna invidia direi. In generale tutti abbiamo preso molto bene questa scelta, da un punto di vista umano.
Solo che un giorno l’ipotesi è diventata realtà, la scrivania è vuota, e tu non sai chi chiamare!

Photo by Marco Bianchetti @Unsplash