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PNRR e legalità, facciamo il PUNTO

In una situazione di grande incertezza interna, in attesa delle imminenti elezioni, ed esterna, legata agli scenari internazionali, abbiamo chiesto a Pierpaolo Romani coordinatore nazionale di Avviso Pubblico e partner de Il PUNTO di aiutarci a sintetizzare i punti critici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Avviso Pubblico infatti, offre un punto di osservazione particolare, dato che riunisce 11 regioni e oltre 500 enti locali, in prevalenza piccoli comuni attivamente impegnati a contrastare la corruzione e la diffusione delle mafie. Mafie che agiscono sempre di più come imprese, sfruttando anche le grandi emergenze per infiltrarsi nel tessuto economico-sociale sano del Paese.

Il PNRR è una grandissima occasione di sviluppo per il Paese, ma il processo di costruzione del Piano e soprattutto la cosiddetta “messa a terra” delle azioni non sono esenti da criticità, che devono essere analizzate e corrette, altrimenti il rischio è di alimentare meccanismi distorsivi con pesanti esternalità negative per tutto il sistema. Per evitare ciò è necessario sviluppare sistemi di vigilanza:

Innanzitutto credo che le risorse del PNRR – afferma Romani – siano fondamentali per far riprendere il nostro Paese, sono risorse ingenti e sono determinanti. Detto questo, noi ci siamo trovati a dover redigere un piano, a dover pensare alla sua articolazione e poi alla sua esecuzione in tempi molto più ristretti di quelli di una situazione normale. Se da una parte c’è la possibilità di investire massicciamente, dall’altra si deve tenere conto del breve tempo che si ha disposizione per progettare e per la messa a terra. Aggiungerei un terzo punto: dobbiamo prestare la massima attenzione ai meccanismi di vigilanza e controllo di questi fondi. Non basta avere a disposizione risorse ingenti, bisogna spenderle bene e impedire che finiscano in mani sbagliate. Si è fatta un’operazione di costruzione molto centralizzata del piano. È stato creato anche il sito di Italia domani, ma da più parti si è riscontrato come i dati presenti non garantiscano un’adeguata trasparenza e un monitoraggio aggiornato della situazione generale e sui territori.

Anche la partecipazione è un fattore critico del PNRR, e ancora una volta sono i tempi ristretti della costruzione del Piano che hanno impedito un dialogo strutturale con la società civile e soprattutto con quegli Enti Locali che sono i principali destinatari delle risorse:

I tempi ristretti non sono stati favorevoli alla costruzione di un piano partecipato con la collettività, con il mondo delle imprese, degli enti locali e delle regioni. Noi con il cartello #GiustaItalia, insieme a Libera, altre associazioni e ai sindacati, avevamo richiesto una ripartenza dell’Italia all’insegna della partecipazione e della trasparenza, che ci fosse una tracciabilità dei fondi che venivano erogati. Su questo punto purtroppo la logica di alcuni provvedimenti approvati dal Parlamento è andata in un’altra direzione. La velocità ha prevalso sulla logica del controllo.
Mi pare significativo segnalare un’altra criticità. Già nella fase di presentazione dei progetti è emerso un deficit di capacità amministrative, in particolare nel Mezzogiorno. Con il Piano si sarebbe dovuto fare un investimento importante sul capitale umano, innovare la Pubblica amministrazione con un’iniezione di energie giovani, molto competenti e qualificate, assumendole a tempo indeterminato e remunerandole adeguatamente in base alla loro professionalità.

Un tema, quello delle competenze della PA, come ricordato da Pierpaolo Romani, che anche il PUNTO ha più volte sottolineato in questi mesi, e che ha visto, proprio durante il mese di agosto la riapertura dei termini di 12 bandi per oltre € 700.000.000 a causa della difficoltà di molti Enti Locali a rispettare i tempi di progettazione sempre molto ristretti, e ad inviare le documentazioni richieste.

Il tema delle competenze nelle PA è fondamentale. Se queste sono scarse o assenti, il rischio, anche in relazione al PNRR, è che i fondi non vadano nei territori dove c’è effettivamente bisogno, ma siano allocati laddove vi sono enti che hanno più capacità amministrativa, maturata nella gestione di precedenti bandi e progetti, oppure che vadano a progetti che i Comuni avevano già nel cassetto e che non erano stati finanziati in precedenza. Tutto questo rischia di non rispondere alle crescenti disuguaglianze presenti nel nostro Paese che la pandemia e la guerra hanno acuito; si rischia di non produrre un’adeguata e diffusa innovazione sociale.
Un altro tema è quella della gestione dei fondi. Ad esempio: sono state stanziate importanti risorse per costruire gli asili nido ma occorre pensare anche a a come gestire quelle strutture. Per chi amministra gli enti locali quello è un tema balzato subito agli occhi.


Il rischio è che per rendere più semplice le procedure e mantenere il rispetto i tempi del piano – che in parte, occorre ricordarlo, sono dettati dalle scadenze poste dall’UE – si proceda ad un’eccessiva semplificazione che rischierebbe di aprire la porta ai fenomeni di infiltrazione criminale.

Quello della semplificazione è un tema attuale e concreto, su cui occorre mettere la testa. Tuttavia, è importante fissare un principio: la semplificazione non può trasformarsi in deregulation. Le regole non possono considerarsi dei lacci e lacciuoli, degli ostacoli allo sviluppo. Le regole sono strumenti che offrono la possibilità di fare delle cose in modo trasparente e concreto, che garantiscono dei diritti.
In Italia, ma credo che su questo punto si dovrebbero preoccupare anche altri paesi europei che fanno finta di non avere il problema della mafia, abbiamo quattro organizzazioni criminali importanti che agiscono sempre di più come imprese e che già in passato, in altre situazione drammatiche -penso ad esempio al terremoto dell’Irpinia- hanno dimostrato come l’emergenza possa tradursi per loro in aumento di ricchezza, potere e capacità di condizionamento. Questo anche grazie alla complicità di quell’area grigia fatta da liberi professionisti, imprenditori, uomini di finanza, politici, dirigenti e funzionari pubblici che con una logica ancorata ai princici di “business is business” e “pecunia non olet”, pur di far girare i solidi si prestano a fornire servizi in tal senso. Anche dentro sistemi corrotti non possiamo accettare l’idea che la legalità sia incompatibile con lo sviluppo. Noi dobbiamo garantire uno sviluppo legato alla legalità, alla sostenibilità, all’innovazione, alla giustizia sociale.

Una preoccupazione quella del coordinatore di Avviso Pubblico data anche dalla constatazione che dal dibattito sulle prossime elezioni il tema della legalità e della lotta alle organizzazioni mafiose e alla corruzione è quasi del tutto assente, con il rischio -ancora una volta- di sottovalutare fenomeni che incidono fortemente sulla coesione della nostra società.

Il tema mafie e corruzione è di fatto assente dal dibattito per le elezioni. Nei programmi politici dei vari partiti o non se ne parla, o si dedica qualche generica riga, o si prevedono interventi in settori specifici. Manca una visione sistemica circa l’attuale e reale pericolosità che le mafie e la corruzione rappresentano per la nostra democrazia, la nostra economia e la nostra sicurezza. Eppure tutto questo è scritto nero su bianco nelle relazioni della Commissione parlamentare antimafia, della Direzione investigativa antimafia, dell’Anac, della Banca d’Italia. Nel mondo della politica c’e scarsa consapevolezza di tutto questo.
Il PNRR deve essere un’occasione per fare innovazione sociale, per costruire contesti più equi e più sostenibili. Se falliamo in questa impresa aumenteranno le disuguaglianze e le tensioni sociali. La storia ci ha insegnato dove c’è disuguaglianza si amplia l’illegalità, c’è più alta conflittualità, quindi meno senso della comunità. Perché le persone, quando stanno male, si sentono sole e non trovano risposte adeguate da parte delle istituzioni, cercano delle scorciatoie e pensano più in termini di “io” che di “noi”.

Photo by Xenia Chernaya @Unsplash



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