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Spazi condivisi


Paola Bisi è responsabile delle Relazioni Esterne e della Comunicazione all’Accademia Teatro alla Scala.

Esiste una connessione tra i vostri spazi di lavoro e quelli riservati agli studenti? Se sì, in che modo questa relazione viene percepita e quale impatto ha sull’organizzazione del vostro lavoro?
Gli spazi di lavoro dell’Accademia sono uniti a quelli riservati agli studenti. I nostri uffici si trovano al primo piano e al pianterreno ci sono le aule devo gli studenti provano, studiano, si esercitano. Quindi il rapporto è continuo, costante e diretto sia con gli allievi che con i docenti. Qui siamo anche circondati dalla musica: appena iniziano a cantare li sentiamo, ci accompagnano nel nostro lavoro.
Gli spazi sono indipendenti l’uno dall’altro, ma con una possibilità di incontro molto forte, e questo è molto utile. Sebbene non vi sia un passaggio degli allievi, c’è sempre la possibilità di incontro. Forse l’unica presenza costante di questi spazi è la musica.

Vi mai stata una riflessione su questi spazi di lavoro e di prova, oppure è semplicemente capitato che si trovassero vicini?
Si tratta una scelta inevitabile perché gli spazi che abbiamo a disposizione oggi hanno queste caratteristiche. Ma anche in una futura riorganizzazione della sede crediamo che per motivi logistici i nostri spazi di lavoro e quelli dell’Accademia debbano essere vicini.

Nella vostra ricerca di una nuova sede per l’Accademia, come comunicate questa sinergia tra spazi di lavoro e di studio?
Raccontiamo soprattutto la presenza dei docenti, del coordinatore didattico e del tutor, che seguono quotidianamente i ragazzi. Ci teniamo anche molto a ribadire il rapporto molto personale tra docenti e studenti, reso possibile anche dalla qualità e dalla gestione degli spazi che abbiamo a disposizione. Ma i nostri spazi al momento sono piuttosto ristretti, soprattutto rispetto ad altre situazioni internazionali: noi abbiamo 4 sale per la scuola di ballo mentre l’Opera di Parigi ne ha più di venti. Questo però non ci impedisce di formare alcuni tra i ballerini tra i più preparati al mondo.

La pandemia ha influito nella gestione e riorganizzazione degli spazi a vostra disposizione? Vi ha spinto a sperimentare nuovi metodi di lavoro?
È stato un periodo molto pesante. Abbiamo attivato le lezioni online, ma siamo tornati presto in presenza. A giugno 2020 abbiamo riaperto con tutte le misure di sicurezza e continuato con l’attività scolastica, soprattutto per i corsi pratici, come danza e musica. Era necessario ritrovarsi di persona, sebbene per i ballerini danzare con la mascherina sia stato faticosissimo. Perché sia nella danza sia nella musica il respiro ha un ruolo fondamentale.
Però la pandemia ha velocizzato un processo già in atto rispetto a tutto ciò che non richiede la presenza fisica: le lezioni teoriche ancora oggi si svolgono online. Alcuni anni fa siamo stati alla Manhattan School of Music a New York dove portano avanti una sperimentazione di insegnamento a distanza, che seguiamo con attenzione. Nel tempo ci siamo dotati di nuovi supporti tecnologici, come proiettori avanzati e una piccola regia mobile. Usiamo molto le piattaforme come Teams, ma non sostituiscono l’attività in presenza: i ballerini devono fare le prese stando nello stesso posto; la voce deve essere ascoltata.

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Foto Liel Anapolsky @Unsplash