Paolo Strina è, oggi, socio di Phloema srl, una realtà che da un lato fornisce assistenza manageriale e temporary management alle aziende, e dall’altro progetta e implementa soluzioni di automazione e tracciabilità, oggetti in ambito logistico, industriale e retail unitamente a soluzioni di business intelligence per estrarre valore dai dati aziendali.
La sua ampia esperienza professionale si accompagna anche a un passato nelle istituzioni pubbliche, in qualità di sindaco e assessore.
“Non è semplice ragionare di democrazia quando si guarda alle aziende. C’è sempre una proprietà, c’è sempre una dirigenza che in ultima istanza prende le decisioni. Preferisco quindi concentrarmi sui temi della partecipazione e del coinvolgimento. Che sono due cose un po’ diverse”.
In che cosa si differenziano?
“La partecipazione serve a far sì che le persone lavorino bene insieme, rimuovendo in qualche modo quegli ostacoli che, inevitabilmente, vengono a crearsi nella divisione dei ruoli.
Partecipare vuol dire dunque mettersi insieme e concordare davvero sulle mansioni, stabilendo i confini, per natura non impermeabili, tra i ruoli.
Un po’ come si fa in una squadra di calcio dove ognuno riveste una posizione, ma gioca con tutta la squadra.
Il coinvolgimento è, invece, una cosa più profonda.
Facciamo una premessa: è ovvio per tutti che lavorare bene insieme contribuisca al benessere del singolo, che può così esprimere i propri talenti. Questo tipo di benessere stimola il lavoratore al di là dell’aspetto economico o della competenza che si acquisisce sul lavoro.
Rispetto a tempo fa, oggi le persone danno un peso maggiore al vivere bene le ore che passano al lavoro.
Il coinvolgimento significa in qualche modo condividere le scelte aziendali. Ovvero non solo dire: ‘ok, questo è l’obiettivo, facciamo in modo di raggiungerlo’, quanto discutere insieme dell’obiettivo stesso.
Questa forma di coinvolgimento certamente contribuisce ad accrescere il benessere dei lavoratori.
Ovviamente ci sono anche delle forme di coinvolgimento che arrivano fino al profit sharing. Vuol dire che si condividono gli obiettivi e, se raggiunti, si redistribuiscono i profitti ottenuti anche sui dipendenti.
Non è dunque un semplice premio di produzione.
Anzi, le esperienze che considero più avanzate prevedono anche organi come il comitato di gestione che affianca il Consiglio di Amministrazione o direttamente la partecipazione di rappresentanti dei lavoratori nel CdA.
Queste pratiche hanno anche la conseguenza di spingere l’azienda a essere maggiormente trasparente”.
E la trasparenza è un principio democratico.
“Non foss’altro perché altrimenti si rischia di ascoltare solo il reparto vendite e il marketing per prendere decisioni.
Certo, poi bisogna in qualche modo misurare quanto le persone coinvolte diano risultati migliori. Sicuramente il coinvolgimento è una modalità più piacevole di imporre un clima da caserma.
E a ben guardare nel mondo di oggi è l’unico modo per ottenere dei risultati concreti.
Purtroppo assistiamo ancora oggi a realtà “padronali” dove devi giustificare ogni giornata di ferie anziché discutere di obiettivi e di risultati ottenuti”.
È una questione di natura giuridica? Le cooperative o le non profit sono più portate al coinvolgimento?
“Certo, nel sociale questo approccio dovrebbe essere più naturale. Nel profit invece più che la tipologia giuridica io credo contino le dimensioni dell’azienda: spesso è più semplice nelle grandi aziende, che hanno le loro policy anche per questi aspetti.
Detto questo, noi siamo la patria delle piccole e medie imprese, nelle quali tutto dipende dal titolare, dalla sua formazione e da come si pone nei confronti dei lavoratori.
Noi, ad esempio, siamo quattro soci operativi, veniamo tutti da una giovanile esperienza negli scout che ci dà un terreno di valori comune.
Per questo ci stiamo sbizzarrendo cercando soluzioni che stimolino i giovani dipendenti (tipicamente programmatori) secondo i loro interessi. Chiediamo loro: che cosa ti piacerebbe fare? Hai idee di nuovi business da sviluppare? Se emergono, siamo disponibili a un coinvolgimento reciproco, mettendo da parte nostra esperienza e capitale a sostegno di idee innovative che vanno remunerate anche con una partecipazione a quote di eventuali newco.
Spesso viene fuori il tema della formazione e della flessibilità, cui siamo molto aperti: lo smart working è stata una scelta fatta dai soci anni fa”.
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