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Il lavoro come relazione. Il salto a cui la crisi ci chiama

Il Covid 19 impone una discontinuità a ogni organizzazione. Occorre ripensarsi e non solo “stare sul mercato”. Una riflessione che, oggi come mai, chiama in causa il sindacato.

di Rosario Iaccarino, Responsabile nazionale Formazione sindacale Fim Cisl

L’innovazione nel nostro paese sconta pesanti ritardi, catturata nella “banalità della normalità” con la sua normatività che si nutre di conformismo, indifferenza e opportunismo, producendo effetti sensibili sulle disuguaglianze. Anche la ricerca di rassicurazioni contro l’incertezza è un freno all’innovazione, perché se la complessità crea ansia, bisogna ridurre il conflitto tra le differenze, anche al costo di limitare la creatività nelle organizzazioni e nella società.
L’immaginazione è il motore di un cambiamento o di un’innovazione: è perché siamo disposti a mettere in discussione un ordine esistente immaginandone un altro che le cose e il mondo cambiano (Ugo Morelli).

Cercasi allora leadership riflessive e generative capaci di accogliere “l’incertezza come possibilità”, e di creare condizioni perché il lavoro diventi quel processo di creazione di senso e di riconoscimento reciproco delle persone attorno a un compito primario e all’amore per il prodotto (Adriano Olivetti).
Se i processi di creazione di senso coincidono con i processi organizzativi, cambiano necessariamente anche quei linguaggi del lavoro che evocano precarietà, ansia, angoscia, ecc.. Se il lavoro è relazione e intersoggettività intorno a un compito, ed è questa la madre della soggettività e dell’individuazione di sé, è necessario, nell’ascolto, che ognuno venga riconosciuto come una presenza che ha desideri e aspettative. Le motivazioni ad investire emotivamente e professionalmente in una organizzazione non nascono a comando, ma dal senso che emerge dall’esperienza.

Credo, raccogliendo gli spunti critici dell’editoriale di Eugenia Montagnini, che vi sia un radicale bisogno di discontinuità, qui e ora, nel modo di concepire l’economia, il lavoro e le organizzazioni, superando quel primato esclusivo del fare che pone in secondo piano l’essere, il ben fatto e il fare l’inedito.

In altre parole la ragione sociale dell’impresa, profit e non profit, è irriducibile allo “stare sul mercato”, così come è illusorio pensare che le sole competenze tecniche senza un’integrazione col sapere affettivo siano in grado di generare qualità e produttività. Quando parliamo di codici affettivi parliamo di ciò che noi portiamo nell’altro utilizzando i codici che servono per raggiungere l’altro, e lo stesso vale per l’altro verso di noi (Emanuela Fellin).
I codici affettivi richiamano l’attualità della sfida del linguaggio, che investe le organizzazioni al loro interno e nella rappresentanza esterna. La Fim, il sindacato dei metalmeccanici della Cisl, si era già posto in questa ricerca, al fine di tenere insieme il senso del lavoro e della sostenibilità dell’impresa nella quarta rivoluzione industriale. Le sperimentazioni e gli esercizi di “grammatica contrattuale” sull’innovazione svolti dalla Fim in questi anni, in anticipo rispetto all’arrivo inatteso e duro dell’emergenza sanitaria, ci permettono oggi, di fronte agli effetti industriali e sociali non desiderati della crisi, di affrontare la domanda di riorganizzazione dei luoghi di lavoro (anche da remoto), nel rispetto della sicurezza e della qualità del lavoro, guidati da una certa progettualità e con una cultura contrattuale a somma positiva per le imprese e per i lavoratori.
Il percorso dell’innovazione è indubbiamente lungo e tortuoso, ma certamente aiuta avere a disposizione una elaborazione strategica già testata, che non punta a tornare alla normalità, ma a crearne una strutturalmente migliore.

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Photo by Nikita Kachanovsky on Unsplash

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