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La variabile coworking

“Fino a febbraio di quest’anno avevamo molti clienti ed il nostro spazio di coworking era pieno.
Era una tendenza generale del coworking, un settore in crescita da anni, sia se si guarda il numero di clienti, sia il numero di spazi.
Oggi la situazione è diversa”.
Luca Diodà è fondatore e amministratore delegato di YoRoom, spazio di Coworking di 2.000 metri quadri nel quartiere Isola di Milano: 25 uffici privati, 50 postazioni in coworking, 5 sale riunioni e uno spazio eventi.
La pandemia ha accelerato bruscamente un fenomeno già in atto: la rimodulazione degli spazi di lavoro, verso forme più liquide, meno istituzionali e forse più efficienti.
Una tendenza che, come spesso accade, vede non sempre le varie componenti correre alla stessa velocità: adeguatezza dei luoghi, tempi di vita e di lavoro, diritti, relazioni.


Il coworking è una manifestazione ibrida -ancorchè consolidata- di questo fenomeno?


“Abbiamo aperto nel 2016 ed eravamo una delle poche realtà del genere qui in Isola. Ora siamo circondati da concorrenti.
Abbiamo intercettato una domanda piuttosto precisa: il nostro spazio è soprattutto rivolto ad aziende medio piccole e frelance, ma lavorano da noi anche realtà più strutturate (multinazionali e università organizzando solitamente corsi di formazione e meeting) che utilizzano soprattutto lo spazio eventi e le sale meeting. Siamo rimasti chiusi dal 9 marzo fino al 4 maggio: non eravamo obbligati (alcuni codici Ateco potevano lavorare tra cui i professionisti e alcune aziende che svolgono funzioni considerati essenziali), ma abbiamo ritenuto fosse più corretto chiudere.
Dalla riapertura a fine agosto sono tornati a frequentare lo spazio con assiduità pochi clienti: oggi per fortuna lo spazio si sta rianimando.
Qui da noi si possono fare ingressi singoli, o contratti annuali in un’ottica di
massima flessibilità per i clienti: i primi ovviamente si sono azzerati col lockdown, mentre devo dire che pochi hanno disdetto i contratti, e questo per noi è stato molto importante”.
Il coworking sarà la soluzione intermedia tra ritorno agli uffici e conversione allo smart working?
“Il fenomeno dello smart working c’era già da tempo. Certamente la pandemia ha accelerato il processo, ma io credo che le persone dovranno prima o poi uscire di casa, ritornare in un ufficio, in azienda o in spazi di coworking.
Sarà importante prestare maggiore attenzione alla necessità di conciliare la sfera lavorativa e personale al fine di migliorare la vita delle persone, magari non obbligando ad andare a lavorare tutti i giorni in ufficio”.

Come evidenziano recenti ricerche, non sappiamo ancora se il passaggio allo smart-working si consoliderà definitivamente, se tornerà a livelli pre-crisi, o se si attesterà come un ulteriore elemento dell’esperienza lavorativa moderna.


“Le grandi aziende tenderanno a ridurre le proprie sedi, permettendo i propri dipendenti di lavorare alcuni giorni a settimana in smart working. Questo fenomeno porterà nel breve termine le aziende grandi ad abbandonare le proprie sedi per spostarsi in uffici più piccoli, ma più moderni e centrali.
Le aziende piccoli probabilmente tenderanno ad abbandonare gli uffici tradizionali per appoggiarsi a spazi di coworking.
Credo che gli spazi di coworking dovranno lavorare per intercettare questa nuova domanda e potranno porsi come strumento utile alle aziende offrendo spazi moderni e sicuri.
Inoltre si propongono già da tempo come luogo di incontro tra professionisti ed aziende.
Gli spazi più innovativi di coworking sono già piccoli ecosistemi che favoriscono lo scambio di conoscenze e la interazione tra aziende e
professionisti.
Nel futuro prossimo, passata la pandemia, questo aspetto si rafforzerà e ci sarà una crescita ulteriore di questi spazi”.

Photo: LeonodKos Getty

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