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Silos o alveari? Quando una riflessione sulla comunicazione aiuta l’organizzazione a ripensare se stessa (NL 04|2013)

Qualunque sia la tua battaglia hai tutta l’energia per vincerla. Anche la nostra. Questo prometteva la campagna virale #guerrieri che Enel ha lanciato lo scorso settembre 2013 attraverso diversi canali (televisione, radio, giornali, cartellonistica, social media e sito dedicato) e che recentemente ha portato all’avvio di un format televisivo. In sostanza si chiedeva alle persone di partecipare raccontando le loro storie fatte di difficoltà quotidiane e di modi in cui le hanno combattute. Come dei guerrieri.

La campagna ha avuto un andamento diverso da quello che l’organizzazione si aspettava: ha raccolto racconti e condivisioni ma è anche stata dirottata dal collettivo Wu Ming e l’hashtag #guerrieri, creato per raccontare le storie sui social media, è stato di fatto utilizzato su Twitter per portare a galla tutto ciò che non va nel modo in cui Enel gestisce i suoi affari. Basta visitare alcuni Storify (ad esempio quiqui qui) per capire l’impatto di questo processo.

Senza voler entrare nelle specifiche dinamiche di marketing, questo fatto ci ha interrogato soprattutto in relazione a un’attitudine molto importante per Excursus:l’ascolto. L’organizzazione, nel cercare un dialogo con i suoi interlocutori, era pronta ad ascoltarli tutti, anche quelli che avevano motivo di essere contrariati?

Con l’avvento di nuove tecnologie di informazione e comunicazione, non è più possibile pensare alle organizzazioni come prima. Il livello di interconnessione con il mondo è diventato così alto che le strutture organizzative classiche non sono più in grado di rispondere con efficacia alle sollecitazioni esterne, alla richiesta di condivisione, alla gestione delle conoscenze. Non è più possibile lavorare a compartimenti stagni, perché il rischio è nel migliore dei casi quello di non riuscire a raggiungere i propri obiettivi, nel peggiore quello di scomparire. Il concetto di organizzazione silos che spesso viene citato nel mondo anglosassone è molto efficace e spiega bene l’atteggiamento di solida chiusura che molte realtà hanno assunto. Le organizzazioni-silos, per preservare i propri contenuti, l’identità, sono completamente chiuse, non lasciano spazio alla comunicazione con l’esterno e quindi finiscono per replicare se stesse e soffocare. Il passaggio che a noi sembra interessante e auspicabile è quello da silos ad alveari (Geoff Livingston, Moving from Siloes di Hives 2009). L’alveare, una struttura comunque ordinata e con una facilità di scambio da uno spazio all’altro, permette il passaggio (di idee, di persone, di modi di lavorare), lo favorisce, è in grado di integrare le novità, modificarsi, cambiare, far respirare aria nuova.

In tutto ciò, che cosa c’entrano i silos e gli alveari con l’uso dei social media, citati all’inizio nel caso #guerrieri di Enel? C’entrano perché sono cambiate le regole del gioco. La comunicazione di massa e monodirezionale esiste ancora, certo, ma non basta più. Attraverso l’utilizzo dei social media molte più persone (che sono anche utenti/consumatori, volontari, donatori, elettori…) ora sanno che la loro voce può farsi più forte e ricevere più attenzione, più ascolto, appunto. Allora è importante che un’organizzazione si renda conto di far parte di un ecosistema, che c’è uno scambio osmotico con l’esterno, che gli stakeholder non sono figuranti ma che è nel suo interesse ascoltarne le istanze, interpellarli, coinvolgerli, collaborare. Ci sembra che spesso le organizzazioni non abbiano un’idea organica di chi sta loro intorno, di quali siano i legami (anche qualitativi) con le altre realtà e le persone che incrociano o con cui lavorano. Questa consapevolezza, invece, dovrebbe esserci. Su di essa si costruisce un nuovo modo di comunicare e di ascoltare.
Qual è la rete di persone e organizzazioni che ci sta intorno? Sappiamo ascoltare anche chi è alla periferia di questa rete? Attraverso quali strumenti?

Allo stesso modo, all’interno di ogni realtà lavorativa c’è un mondo di legami, connessioni, conversazioni che esistono a prescindere dall’organigramma. Cogliere queste connessioni e valorizzarle è un passaggio necessario, per autorizzare chi lavora nell’organizzazione a partecipare e a portare il proprio valore (in termini di talento, esperienze e competenze). Anche per questo scopo, l’uso dei social è strategico e sempre più realtà hanno iniziato a farlo.

Il cambiamento culturale che sottende a questi processi si basa sul presupposto dellatrasparenza che, come sostiene Beth Kanter, è “un modo di pensare e di essere per l’organizzazione”. Un’attitudine alla condivisione – all’interno e all’esterno- di obiettivi, modalità operative e traguardi raggiunti. È interessante fare un veloce check: la mia organizzazione agisce in modo trasparente? È capace di condividere con gli stakeholder obiettivi, metodi, risultati (sia i successi sia i fallimenti)? La capacità, in primis del gruppo dirigente, di leggere la propria organizzazione a partire da queste domande è molto importante.

Un simile processo di apertura fa paura, i rischi sono tanti ed esporsi alle critiche non è semplice, tuttavia è un’occasione di apprendimento e di miglioramento, se la si sa cogliere. Solo con questo approccio, questo desiderio di stare in rete e nella rete in modo aperto e trasparente, una strategia di comunicazione, soprattutto attraverso i social, porterà i suoi risultati.

Cfr. Sezione Lavori in corso, progetto Organizzazioni nella rete.

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