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Con il corpo. Polarizzazione, distanza, prossimità.

Dopo aver esplorato la natura sociale e le dinamiche culturali della Polarizzazione — in Attraversare la polarizzazione, abitare la complessità e nell’intervista a Fabrizio Acanfora — abbiamo deciso di uscire dai nostri confini per incontrare chi, in altri paesi e contesti, lavora sulle stesse domande.

Due sono stati gli scambi che ci hanno guidato. Il primo con SIDN Foundation, ente olandese che da anni sostiene progetti per una rete più equa, democratica, generativa. SIDN lavora in sinergia con diverse fondazioni filantropiche e con il governo; ha da poco lanciato il bando From Liking to Listening, un invito a immaginare interventi contro la polarizzazione online che vadano oltre la moderazione dei contenuti e affrontino le architetture stesse delle interazioni digitali. Con Mieke van Heesewijk, Programme Manager della Fondazione, abbiamo parlato dei segnali che li hanno spinti ad agire ora e del ruolo che immaginano per i media indipendenti, l’intelligenza artificiale e le piattaforme civiche.

Il secondo incontro è stato con Bramble, realtà inglese che lavora su leadership, facilitazione e crescita organizzativa. Con il fondatore Julian Thompson, esperto di innovazione sociale e narrazione empatica, abbiamo discusso come la polarizzazione emerga anche nei luoghi del lavoro, oltre che nella vita quotidiana: nel Regno Unito post-Brexit, durante la pandemia, nei conflitti tra transizione ecologica e industria. La loro risposta non è “convincere”, piuttosto è costruire luoghi di incontro reale. Il progetto Meet Them è nato così: una serie di incontri aperti a tutti e tutte, per mettere in dialogo persone con opinioni opposte, partendo dalle storie (piuttosto che dalle idee) e dai valori che le sostengono. L’obiettivo non è persuadere, ma riattivare l’umanità nei luoghi in cui sembrava più debole.

Due approcci diversi — uno infrastrutturale, l’altro relazionale —, complementari tra loro. E da qui siamo ripartite. Non per tornare su ciò che abbiamo già detto — la polarizzazione come fenomeno non solo negativo, il ruolo degli algoritmi, il valore della complessità — ma per chiederci cosa accade quando la frattura si stabilizza. Quando non è più solo sintomo, ma struttura. E soprattutto: cosa possiamo fare, concretamente, per non rassegnarci.

  1. Dentro o fuori (dal Bus)
  2. Asimmetria del desiderio
  3. Asimmetria del dialogo
  4. Ricomporre, con il corpo
  5. Riferimenti

Dentro o fuori (dal Bus)

SIDN parte da una diagnosi chiara: la polarizzazione non è solo una questione di contenuti, ma di strutture. Le logiche algoritmiche non si limitano a influenzare l’opinione pubblica: si infiltrano nei meccanismi democratici, istituzionali e relazionali. Il problema non si ferma alla dimensione tecnologica: nei Paesi Bassi, ci raccontano, manca un’educazione sistematica alla cittadinanza; i giovani crescono senza strumenti per navigare il conflitto, ascoltare prospettive diverse, articolare il dissenso. A tutto questo si aggiunge l’eredità di quindici anni di politiche neoliberali che hanno promosso una visione iperindividualista della responsabilità sociale: “take care of your own”. Il risultato è un indebolimento del “noi” collettivo, che rende più fragile la tenuta democratica.
È da questo sguardo sistemico che nasce il bando From Liking to Listening: un’iniziativa esplicita, che sposta l’attenzione — e le risorse — verso progetti capaci di contrastare la polarizzazione nei contenuti e di ripensare l’architettura stessa delle nostre interazioni online.

Bramble ci porta dentro le organizzazioni e ci mostra come la polarizzazione non sia sempre una lotta aperta. Spesso è silenzio, assenza, conformità forzata. In molti contesti, esprimere una visione dissonante comporta un rischio, non sempre esplicito, ma percepito. Il risultato è un ambiente in cui il dissenso non viene gestito, ma espulso. In casi estremi, come ci raccontano, la logica è brutale: “on the bus or under the bus”. O ci stai dentro, o sei fuori. Questa dinamica è solo culturale e anche strategica. Perché quando le voci critiche lasciano, l’organizzazione si impoverisce, perde capacità di evolvere, di ascoltare l’ambiguità, di gestire le fratture. Resta solo la rigidità.

SIDN e Bramble ci restituiscono due angolature diverse e complementari: una ci mostra come la polarizzazione venga favorita da strutture sistemiche che isolano, silenziano, semplificano; l’altra ci ricorda che, anche dentro spazi cooperativi e apparentemente armonici, il conflitto può essere negato — e per questo diventa ancora più pericoloso.

Asimmetria del desiderio

Se il problema non è solo capire come funziona la polarizzazione, ma come attraversarla senza negarla, allora la questione si fa progettuale. Ed è qui che l’approccio di Bramble offre spunti preziosi.

Progetti che favoriscono il dialogo tra visioni contrapposte non mancano: in Italia e altrove, molte realtà lavorano per creare ponti tra parti diverse della società civile. Bramble sceglie un altro campo: il suo lavoro si concentra all’interno delle organizzazioni, tra persone che condividono spazi, ruoli, obiettivi, ma non sempre visioni. Questo sposta il baricentro: dal conflitto tra “fazioni” al disaccordo quotidiano, diffuso, spesso silenzioso. E rende il dialogo ancora più urgente e delicato.

Il progetto Meet Them nasce proprio da un’esperienza concreta: un incontro fortuito nelle Filippine tra un dirigente petrolifero e un attivista ambientale. Due visioni del mondo apparentemente inconciliabili, che hanno trovato un terreno comune partendo non tanto dalle posizioni, quanto dalle premesse, dalle motivazioni profonde, dalle storie personali e dai valori condivisi. Questo scarto — dal cosa al perché — ha reso possibile un dialogo più aperto, in cui l’obiettivo non era trovare un accordo, ma costruire una relazione capace di contenere il disaccordo.
Questa intuizione ha dato vita a un metodo: creare spazi in cui la divergenza sia il punto di partenza, invece che quello finale. E dove la relazione venga prima della persuasione.

Anche i tentativi falliti raccontano molto. In un altro progetto — pensato per attivare un confronto sull’agricoltura industriale nel Norfolk — il dialogo non è mai iniziato: l’industria ha rifiutato ogni contatto. Non per disaccordo sui temi, ma per paura. Troppo rischio. Troppa sfiducia. La lezione? Il vero ostacolo è l’asimmetria del desiderio di avvicinarsi.

E allora: come si coinvolge chi si sente sulla difensiva?
Qui entra in gioco la seconda sperimentazione di Bramble, in fase di definizione: un serious game che trasformi il confronto in un’esperienza accessibile, con regole semplici e chiare, in cui i punti si assegnano per la qualità dell’ascolto, per la capacità di esprimere dissenso in modo costruttivo, per il riconoscimento dell’altro.
Non è solo un gioco, ma un laboratorio relazionale la cui forza sta nella replicabilità, nella possibilità di adattarlo in molteplici contesti. Anche qui, come con Meet Them, non c’è la pretesa di offrire una formula risolutiva, ma di aprire possibilità, creare condizioni e testare prototipi. In un tempo che chiede non tanto soluzioni, quanto intelligenza sperimentale.

Un punto di partenza, forse il più urgente, riguarda la postura. Lo dice chiaramente SIDN: non basta sostenere progetti ben intenzionati; serve agire da catalizzatori di sistema. Questo comporta di accettare il rischio della sperimentazione. Non si tratta di tentare a caso, ma di mettere risorse in ciò che può davvero trasformare il contesto. Un progetto ben costruito, anche se piccolo, può influenzare l’agenda pubblica, diventare riferimento per altri attori istituzionali, generare impatti a catena.
Perché questo accada, bisogna affrontare il nodo più complesso: l’asimmetria del dialogo. Come ci ricorda Julian Thompson, è troppo facile creare spazi di confronto che attraggono solo chi è già disposto ad ascoltare. Il vero lavoro è costruire ambienti che siano percepiti come autenticamente sicuri anche da chi teme di esporsi, di essere giudicato o addiritura travolto. E questo si ottiene solo con un buon design e con un investimento culturale in pazienza, mediazione, fiducia.

A questo si lega un’altra priorità: la scalabilità. Se vogliamo che questi strumenti producano effetti sistemici, devono essere adottati anche senza la presenza costante di facilitatori esperti. È proprio su questo punto che Bramble insiste: i loro serious games non sono semplici esercizi di gruppo, ma veri e propri format di apprendimento relazionale. Strumenti replicabili, accessibili, adatti a team organizzativi e contesti educativi. Format intelligenti che, con costi contenuti, permettono a gruppi diversi di allenarsi al dissenso costruttivo.

In fondo, tutto questo ci riporta a una domanda di fondo: vogliamo proteggerci dal conflitto o imparare a starci dentro?
Bramble e SIDN cercano di ridisegnare le condizioni in cui la distanza può essere attraversata senza degenerare. Perché, lo confermiamo, il cambiamento non passa dalla rimozione delle tensioni, ma dalla loro trasformazione. Attraverso strumenti, posture, ambienti che restituiscano al confronto la sua dignità e alla differenza il suo valore.

Ricomporre, con il corpo

C’è un racconto che mi torna spesso alla mente quando parliamo di polarizzazione. È la storia di un muro. Non un muro metaforico, ma reale: quello costruito tra israeliani e palestinesi, quello al confine tra USA e Messico; qualunque muro che divide persone, culture, territori e che interrompe la possibilità di vedersi, di percepirsi, di sentire fisicamente la presenza dell’altro.

Quando non incroci più lo sguardo di chi hai di fronte, quando smetti di sentire la pelle, la voce, il corpo che abita uno spazio accanto al tuo, allora diventa più facile rimuoverlo. Più facile pensarlo come un nemico. Più facile, perfino, accettare che possa morire.
Se la polarizzazione si nutre di distanza, allora il corpo è uno degli elementi che possono restituire prossimità. La sua presenza interrompe la semplificazione, ricorda che dietro ogni posizione c’è una persona: complessa, contraddittoria, viva.

Bramble lo sottolinea con forza: la fiducia si costruisce nell’incontro reale. È quando ci si siede insieme, in uno spazio condiviso (analogico o digitale), che le caricature iniziano a sfaldarsi. Che il volto dell’altro torna ad avere profondità, contorni, fragilità. Anche dentro le organizzazioni, i muri non sono sempre visibili. Possono essere soglie non dette, stanze chiuse, esclusioni silenziose. L’effetto è lo stesso: se il corpo non può stare, la relazione si spezza. E dove non c’è relazione, resta solo contrapposizione.

Anche dietro uno schermo, il corpo non scompare. Ogni commento, ogni reazione, ogni disaccordo nasce da un corpo che sente. Ogni empatia è un gesto incarnato. Ogni vero ascolto è, in fondo, un atto fisico.

Potremmo provare a non pensare solo in termini algoritmici, e tornare a parlare anche di corpi. Renderli visibili, rimetterli al centro. Perché è lì, nella prossimità, che può nascere un altro modo di stare insieme. Uno spazio meno netto, più umano, dove non si tratta di convincere, ma di riconoscersi. In fondo un corpo lo abbiamo proprio tutti e tutte.

Riferimenti

SIDN Fonds
A strong internet for all
La scheda del bando From Liking to Listening


Bramble
Both sides now, by Julian Thompson
What is Meet Them?
Grazie a Stefan Chojnicki, che ha avuto l’intuizione di riconoscere una vicinanza di sguardo e ci ha permesso di incontrarci.

Le Proteine di questa newsletter

Nota: L’équipe di Excursus è in prevalenza femminile; poiché le riflessioni di questa newsletter nascono e si nutrono soprattutto in équipe, utilizziamo il femminile sovraesteso.

Immagine di copertina Engin Yakurt @Pexels. Nel testo, a partire dall’alto: Daesun Kim, d-z-SHxBwSiPdTU, Mathaus Heringer– @Unsplash

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