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Se lo spazio di lavoro ci definisce


Lo spazio è un prodotto sociale ma, allo stesso tempo, è strumento di controllo e di potere. L’organizzazione dello spazio facilita oppure ostacola le relazioni umane e la coesione sociale. Non è neutro, anzi, ogni luogo è progettato in base a specifiche esigenze, spesso dettate da un ordine gerarchico.

Nelle nostre case, siamo quasi sempre in grado di modellare lo spazio in base ai nostri gusti e bisogni. L’organizzazione degli ambienti domestici riflette molto del nostro modo di vivere e delle nostre priorità. Alzi la mano chi non ha passato ore a sfogliare il catalogo Ikea, un’icona della cultura contemporanea che rappresenta l’evoluzione degli spazi abitativi e familiari.
Ma cosa succede nei luoghi di lavoro? Anche questi spazi raccontano qualcosa di noi.
La pandemia ha cambiato il nostro rapporto con essi, portando il lavoro da remoto al centro della scena. Se prima era raro lavorare da casa, oggi il 98% dei lavoratori desidera farlo almeno parzialmente per il resto della carriera. Il 59% delle persone considera la possibilità di lavorare a distanza un fattore chiave nella scelta del datore di lavoro (fonte: https://www.flexos.work/learn/remote-work-statistics-and-trends).

Lo spazio lavorativo influisce su chi siamo, su come ci comportiamo e su quali relazioni costruiamo. Proprio come in ogni viaggio, dove ci spostiamo e scopriamo nuovi spazi da vivere e occupare, lo spazio di lavoro si trasforma in un luogo che visitiamo quotidianamente, intraprendendo un piccolo viaggio. Qui, cambiamo dimensione e lasciamo la nostra impronta.

Non tutti gli spazi sono accessibili a tutti e tutte, e la distribuzione di questi spazi è spesso un riflesso delle gerarchie aziendali e sociali. Pensiamo ai piani alti dei grattacieli, i palazzi di vetro dove le decisioni più importanti vengono prese. L’accesso ai piani superiori è spesso riservato a una ristretta élite, mentre gli altri lavoratori restano confinati nei piani inferiori. Non si tratta solo di un fatto fisico, ma di un simbolo di esclusione. Chi occupa determinati spazi ne controlla anche le dinamiche relazionali e decisionali​. Questa dinamica spaziale non riguarda solo la disposizione degli uffici, ma si riflette anche nelle opportunità di carriera. Lo spazio è strumento di esclusione​ o di inclusione.

Le strutture fisiche degli uffici riflettono queste dinamiche. Così gli open space promuovono maggiore collaborazione, ma sono allo stesso tempo strumento di controllo in cui la mancanza di privacy rende più difficile la concentrazione e l’autonomia. Al contrario, uffici chiusi o riservati offrono comfort e privacy e simbolizzano anche uno status sociale superiore.

Lo spazio è sempre indicatore di posizione sociale e professionale​. È anche il riflesso delle dinamiche che governano, almeno in parte, le nostre vite. La sua organizzazione può favorire o limitare le opportunità di crescita, creare connessioni o separare, dare visibilità o isolare. E, come ci ricorda Lefebvre, comprendere queste dinamiche è essenziale per costruire spazi adeguati, dove tutti possano sentirsi parte di un processo collettivo e partecipativo, giovando al singolo e alla sua organizzazione.

Come è fatto il tuo spazio di lavoro?
Ci vai volentieri?
Quanto è legato alle relazioni che vi hai creato, alle mansioni che svolgi, alle persone che incontri?


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Matthieu Joannon @Unsplash

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