Il legame, intimo, tra partecipazione e affermazione di diritti, oltreché doveri, è celebrato da saggi e arte.
Non solo la partecipazione è libertà; essa inspessisce il tessuto sociale, lo rafforza, cuce le distanze e rammenda gli strappi. La partecipazione è la trasposizione sociale dei beni comuni. E come per i beni comuni, occorre prestare grande attenzione a come maneggiarla, per non esaurirla.
La “partecipazione” tuttavia ha molte facce e tanti significati. Certamente c’è la partecipazione “civica”: l’impegno per la comunità, quello politico, il volontariato. Investimenti di tempo, risorse, passioni, responsabilità e rischi a fronte di motivazioni plurime e ritorni indefiniti e mutevoli.
Le organizzazioni del Terzo settore sono legate a doppio filo con la partecipazione, fino a dipenderne in taluni casi. Anzi: alcune realtà esistono in quanto espressione ordinata e formale di desiderio di partecipazione. È dunque naturale, e strategico, confrontarsi con la partecipazione: come promuoverla, come curarla, come prevenire crisi, come trarne il meglio, come evolverla. Volontariato, certo, e quella gratuità che sfugge alle dinamiche sociali “di mercato” che necessita di altri linguaggi, altre meccaniche, altri registri.
Poi, la storia della partecipazione, in Italia, è forte, come insegna il movimento cooperativo, ma non solo. Come in pochi altri Paesi nel mondo, la partecipazione della comunità (e all’interno di questa, la partecipazione dei lavoratori) nelle imprese è una eventualità che ha plasmato il nostro tessuto economico, risultati pregevoli, specie nell’aver introdotto nel mondo delle aziende principi di democrazia. Ma non sempre le cose vanno come dovrebbero.
Ad esempio, i soci, spesso sono degli sconosciuti. L’affermazione è forte, eppure la condividiamo sia perché è un’evidenza in molte realtà che affianchiamo (non in tutte) sia perché pensiamo che la compagine sociale ricopra un ruolo non secondario: è il soggetto che definisce l’orientamento di un’organizzazione (si pensi, per esempio, all’elezione dei membri di un CdA), il suo qui e ora e contestualmente il suo futuro.
In molte realtà i ritmi serrati, la quotidianità strabordante, la visione sfocata rispetto a ciò che sarà, hanno portato la governance a procedere svuotando la compagine sociale; non un’azione volontaria e pianificata, semplicemente un dato di fatto, l’effetto di anni in cui ai soci (volontari, lavoratori etc.) è stata riservata poca attenzione.
Le assemblee dei soci hanno perso persone e senso; la partecipazione si è indebolita, non andando oltre agli obblighi minimi previsti dalla legislazione. Questo arretrare (o questo mettere da parte in alcune situazioni) ci racconta di governance affaticate da leader che nel tempo non sono riusciti a coniugare la cura dei servizi erogati con l’ascolto della base sociale. Si potrebbe pensare che gli stessi soci si siano disaffezionati alla pratica di gestione del potere che a loro compete. E questo ci fa intendere quanto la disaffezione politica sia culturale: trascende le istituzioni pubbliche per contaminare anche i contesti di lavoro. Per i senior è un non essere più interessati alla partecipazione; per i giovani, invece, è un non conoscere il mestiere del socio o, laddove inteso, un non ritrovarsi più nelle pratiche che finora hanno contraddistinto il socio attivo.
Ci chiediamo dunque se la distanza fra soci e CdA, fra soci e organizzazioni (laddove i soci non siano lavoratori), si sia ampliata anche a causa di un diffondersi di pratiche di adesioni poco o per nulla consapevoli; pensiamo alle tessere che conserviamo nel portafogli: quante di queste prevedono il nostro essere soci? Con quale grado di affezione viviamo l’essere soci?
Ci chiediamo anche: quali vantaggi può trarre un’organizzazione dalla presenza di soci poco consapevoli rispetto al loro ruolo?
C’è infine un’ulteriore forma di partecipazione, forse meno romantica, più borderline, che però non va sottintesa né sottovalutata. È la partecipazione nei capitali: la scommessa, economica finanziaria, dentro un’organizzazione. È qui che la partecipazione è messa alla prova, sfidata sul piano della coerenza, della speculazione, della pazienza e del rischio. E tuttavia non per questo meno degna di esser considerata tale, anzi: una forma di partecipazione che forse andrebbe riscoperta e saldata in quelle nuove forme che ci si palesano sempre più davanti. E che una volta di più ci fanno dire che la partecipazione, spesso, è la soluzione.
Photo by Nicolas Comte @Unsplash