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Quanto pesa la sostanza?


Sostanza è ciò che sta sotto – substare. Un gigantesco iceberg di cui possiamo scorgere solo la punta. Oppure, il nocciolo ben custodito di un frutto, ciò che lo rende compatto e che contribuisce a crearne la struttura e a darne la forma. Il concetto di sostanza è vicino a quello di “cuore”, l’organo che ci tiene in vita e che, nell’immaginario collettivo, racchiude la nostra anima.


La sostanza è ciò che non muta. Secondo Aristotele è ciò che costituisce la natura di una cosa e la sua essenza, distintamente da tutte le qualità accidentali. In altre parole, è ciò che ha causa di sé in sé stessa e non in altro. Ecco che allora “la forma è sostanza”: il modo in cui facciamo sembrare le cose le definisce e le rende tali.

Quanto pesa la sostanza? Quanto dovrebbe pesare?

Se partiamo dal presupposto che ogni cosa, persona e organizzazione abbia una sostanza, possiamo affermare che il peso della sostanza sia, appunto, sostanziale.

Nelle organizzazioni la sostanza si avvicina al concetto – molto amato dal marketing – di “core business”: i beni/servizi che vengono prodotti, il perché vengono prodotti, il modo in cui vengono prodotti. Ma non solo. Se ritorniamo all’immagine di un grande iceberg di cui vediamo solo la punta, ciò che lo rende tale non è esclusivamente il ghiaccio che lo compone, ma il suo volume, il suo galleggiare nelle acque gelate, lo spostarsi e il suo rimodellarsi nel tempo.

La sostanza è elemento immutevole che genera mutamento. Così la nostra organizzazione/iceberg continuerà a mutare mantenendo salda la sua natura (ghiacciata). Il peso specifico della sua essenza la definisce. Ma è il mutamento che la rende eccezionale.

All’interno dei contesti organizzativi la sostanza è già data. Ciò che si può fare è lavorarci intorno. Ricordarci la natura che definisce un’organizzazione e riportarla all’interno dei processi decisionali per assumere le forme più adatte fa la differenza. Partire dalla sostanza per definire e ridefinire nel tempo i valori attorno ai quali un’organizzazione viene costruita e ricostruita, riportarli sempre all’interno della cultura organizzativa.

Sarà necessario valutare l’impatto che la sostanza può generare – il nostro iceberg si scontrerà contro qualcosa? come posso controllarne il movimento? – e cogliere i valori chiave che ci aiutano a definirla.

Le persone che nelle organizzazioni lavorano potranno interfacciarsi con la sostanza se ben guidati, se consapevoli. A loro la sostanza viene affidata, perché sono proprio coloro che definiscono le forme e i movimenti, le azioni e i modelli attraverso i quali essa viene rivelata.

Nel 2005 durante la settimana della moda milanese la stilista inesistente Serpica Naro – anagramma di San Precari, icona legata al movimento dei lavoratori precari – ha ingannato il sistema della moda organizzando una sfilata, ottenendo tutti i permessi necessari e creando un brand fittizio. In realtà esistevano solo abiti che ironicamente rappresentano vari aspetti della precarietà lavorativa e nient’altro. Il caso fece un certo clamore. Probabilmente perché è una storia in cui forma e sostanza si sovrappongono, con l’unico scopo di veicolare un messaggio. É il messaggio che si fa sostanza, rendendo possibile questo gioco di ombre e illusioni. Ed è così che l’apparenza assume valore.

Io amo la superficie, la sua consistenza, la possibilità di prendere texture e forme infinite.
Quando non è superficialità ma, appunto, superficie, ci rimanda a ciò che sta sotto, ci presenta la sostanza e ci aiuta a scoprirla. Ne è la sua rappresentazione. Il pretesto per scavare e scoprire che cosa c’è di altro.

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Foto Joshua Earle @Unsplash

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