La sottile linea rossa tra emergenza e crisi

Difficile pensare a due parole altrettanto abusate e fraintese. Il fraseggio politico e mediatico -e di conseguenza l’opinione pubblica- abbondano nel ricorso ai termini “emergenza” e “crisi” da sempre. La ridondanza, come spesso accade, diventa censura, e ancorarsi a termini conosciuti finisce col neutralizzare la portata di significato, e con essa la necessaria fatica di comprensione. E quindi di azioni da intraprendere.

Anche solo a guardare l’ultimo secolo assistiamo a un susseguirsi di crisi economiche, sociali, ambientali, energetiche (ma che cosa va in “crisi”? Chi soffre la “crisi”?). Poi ci sono le emergenze, abitative, il freddo, il caro-vita, la criminalità. Etichette che -in un moto consolatorio- semplificano la realtà e sterilizzano la critica e il conflitto.

Vi proponiamo dunque di riflettere sui due termini, sui mondi che racchiudono e gli interrogativi faticosi che ci pongono, a ogni livello: quello personale, quello organizzativo, quello contestuale, quello diacronico. Le parole ci sfidano, e tocca spalancare gli occhi anche se quello che vediamo non ci piace, non ci consola.

Partiamo dal presupposto che crisi ed emergenza siano fenomeni diversi e sconnessi ma poi entriamo in crisi, per l’appunto, perché forse non è così vero che siano tali e i distinguo fra i due sono circoscritti e contigui.
Possiamo differenziarli (lo possiamo veramente?) rispetto a: i tempi (più lenti quelli di una crisi nel suo emergere; rapidi quelli dell’emergenza nel suo manifestarsi); il rumore insito nel loro dna (debole se non addirittura sordo, quello della crisi; forte e talvolta assordante, quello dell’emergenza); l’imporsi mediaticamente e nella narrazione delle organizzazioni (la crisi è sottotraccia, l’emergenza visibile).

Parliamo di crisi della governance (o, nel corso di quest’estate 2022, di Governo) non di emergenza della governance: eppure crisi prolungate e non affrontate possono portare a un’emergenza, a una situazione in cui è messa a rischio la vita stessa (di una persona, di una comunità, di una organizzazione e del suo contesto). Così come ci sono emergenze che si cronicizzano (avete in mente quelle realtà in cui si lavora sempre in emergenza?) e aprono a crisi profonde.

C’è dunque una matrice che si incrocia, che incrocia le nostre vite e non ci fa dormire: l’eventualità di un’emergenza, l’ombra incombente di una crisi. Ci interessano in particolar modo gli spazi interstiziali, quelli che si frappongono tra l’una e l’altra. Quale margine di manovra ci lasciano? Quali attenzioni vanno tenute? Quanto tempo ci è concesso? Quali sono i segni da leggere e interpretare?

Sì, perché i segni ci sono sempre e i cigni neri sono unici; a volte, però, preferiamo non vedere ed è proprio nel perpetrare la nostra cecità che l’emergenza si cronicizza e diviene crisi.

Così non è stato per Ernest Shackleton: lui immaginò quanto potesse essere insidioso il viaggio con l’Endurance alla conquista dell’Antartide; e dopo aver immaginato si preparò e in ogni caso, quando i ghiacci si chiusero attorno alla sua nave, emergenza fu. Di quel frangente e di quella grandiosa impresa imperiale oggi, dopo più di cent’anni, non ricordiamo il fallimento ma la capacità del comandante di affrontare impavidamente la situazione e di riportare a casa l’equipaggio: tutti salvi.

E ancora: che cosa può insegnarci un’emergenza? Quali risorse è in grado di far emerge? Quanto può esserci di buono in una crisi?
L’emergenza ci insegna ad affrontare le successive e a distinguere l’emergenza da ciò che non è tale, come la disorganizzazione, le disfunzioni mai affrontate, la mancanza di visione, la poca predisposizione al confronto e al lavoro di squadra.
La crisi racconta di una morte annunciata ma anche di come questa possa essere scartata. Non è forse questa la crisi di identità di una larva, che da crisalide diviene farfalla?

Photo by Allec Gomes @Unsplash

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